Cosa ho imparato
- 10 Giugno 2014
- 11 Commenti
Lo so, ho aggiornato poco il blog, ultimamente.
Vi dirò, ho fatto tre fiere, c’è stata la BAO Boutique, ho partecipato a un festival in Francia e nel mezzo ho mandato in stampa tre mezze dozzine di libri. Non solo non avevo il tempo per scrivere, non avrei saputo da dove cominciare.
Come per molte buone storie, però, gli stimoli si sono accavallati e sovrapposti, e qualcosa di utile mi è rimasto, credo. Ve lo offro così come esce dal mio bagaglio di questo bimestre on the road.
– I lettori hanno voglia di parlare con l’editore. Tutte le volte che sono rimasto io a tenere aperto il nostro temporary store, ho venduto qualcosa a chiunque sia entrato, semplicemente perché ho parlato con ciascun cliente, con l’entusiasmo che provo e che gli amici mi conoscono, dei libri che facciamo. Ogni conversazione è finita con: “Ma perché non aprite una libreria permanente?” (Perché dovrei starci vita natural durante a parlare con voi. E non farei più i libri.) C’è bisogno di più comunicazione, meno misteri, meno supercazzole, per chiarire che l’editore non è un essere abietto la cui missione nella vita è fregare chiunque firmi un contratto insieme a lui.
– Il fumetto oggi sta uscendo dalle nicchie, ma è osteggiato da due fronti, che lo stringono d’assedio: dall’alto, il mondo della cultura maggiore ci avverte che non saremo mai ammessi nei salotti buoni, nell’Accademia, nell’intellighenzia. Dal basso, i lettori storici mal digeriscono l’infighettamento del “romanzo grafico”, che pare loro solo una definizione pubblicitaria e velleitaria. Si crea così un doppio fraintendimento: che un romanzo grafico non sia un fumetto (punto di vista dal basso) e che un fumetto – comunque lo si chiami – non sia un libro (punto di vista dall’alto). Ho notizie per entrambi gli schieramenti di puristi: un libro è un supporto, quindi dentro può essere in prosa, illustrato, o a fumetti. E il fumetto è un linguaggio, quindi può essere applicato alla narrazione seriale o alle storie autoconclusive, alle trame più commerciali (non per questo però puerili) come a quelle più colte e complesse (non per questo necessariamente elevate e degne di stima). Forse dovremmo occuparci tutti solo di convincere più persone ad accettare che questo linguaggio è degno di vestirsi (anche) del supporto-libro, e ci sarebbero meno persone ostili al fumetto. Farebbe bene a tutti.
– Ha senso andare alla fiere, soprattutto quando molto distanti tra loro, perché se da una parte è vero che è vitale per il nostro comparto trovare nuovi lettori, e alle fiere non ce ne sono, perché ci va chi di fumetti è già appassionato, è anche vero che la distribuzione specialistica funziona così male (e ci tiene a funzionare esattamente così) che ogni volta che allestisco uno stand in una zona dove non siamo mai stati, letteralmente decine di migliaia di persone vedono i nostri libri per la prima volta.
– Che voi siate esordienti o autori già affermati, se mi chiedete un appuntamento de visu per parlare di un progetto, esigerò sempre che mi anticipiate un proposal per sapere di cosa parliamo quando ci incontreremo. Un appuntamento di lavoro non può e non deve somigliare a un’interrogazione a sorpresa. Funziona se vendi il Folletto Vorwerk, forse, non se stai cercando di farti pubblicare un libro. Se non mi fate leggere niente prima è CERTO che vi dirò di no.
E poi la fatica di mettere insieme un proposal la dovete fare. È il vostro rischio d’impresa, prima che la Casa editrice si faccia carico del suo.
– Se una Casa editrice ha manifestamente rispetto del lettore, in primis, è molto più probabile che rispetti anche i suoi autori e collaboratori. Se questa affermazione vi mette a disagio, siete parte del problema.
– Riprendendo una cosa che ho detto sabato a Etna Comics a una platea di aspiranti autori: scegliete bene gli editori con i quali vorreste lavorare. Poi sarà questione di farvi scegliere da loro, ma siate più esigenti. Anticipo basso? Chiedete una percentuale di royalties più alta. Royalties al minimo legale (che, ricordo, è il 3% del prezzo di copertina, altrimenti il contratto non è valido)? L’anticipo dev’essere più congruo, altrimenti state lavorando gratis. Non hanno un ufficio stampa? Informateli che non intendete vendere le copie ai vostri parenti.
Ultimamente ci arrivano allarmanti segnali del fatto che ci sono editori che chiedono soldi per pubblicare le opere degli autori che li contattano. Quella dell’editoria a contributo è una piaga per alcuni, un comodo binario morto dove parcheggiare i senza talento per altri. Quale che sia il vostro livello di bravura e preparazione, ricordatevi che se il vostro libro valesse qualcosa, vi starebbero pagando loro, invece di chiedervi dei soldi.
– Narrativamente, commercialmente, editorialmente, promozionalmente, creativamente, se non stai rischiando nulla non otterrai nulla.
– Accontentarsi non paga. Mai. Vale per noi, vale per voi.
11 commenti su “Cosa ho imparato”
prima di chiunque togliete l’acca presto
Suvvia, già tolta.
Mi chiedo sempre perchè nella nostra bella Italia il fumetto venga così malvisto. Oltre ad essere un prodotto “di nicchia”; è un prodotto “subculturale”, che di “cultura” e “culturale” non ha nulla.
In tutto il mondo è l’inverso, solo da noi no.
Chissà perchè.
Mistero.
Non è vero che è l’inverso in tutto il mondo. In misure e per motivazioni diverse, il fumetto soffre della stessa diffidenza culturale in tutto il mondo, credimi.
Mah, probabilmente è un unicum (e sicuramente voi che viaggiate in lungo e in largo per fiere e mostre avete un riscontro molto più ampio del sottoscritto), ma almeno qui in Inghilterra, se entri in una fumetteria trovi tanto il dodicenne quanto l’ottantenne che fa letteralmente la spesa.
Se intavoli una discussione con sconosciuti non fanno differenza per ciò che concerne l’impatto culturale tra libro/musica/cinema/fumetto. Stessa percezione sulle discussioni via web. Insomma, qui la diffidenza non la avverto. E non la avvertii nemmeno in Francia o in Germania.
Però a questo punto sarebbe interessante (se ti/vi va – o ti/vi sembra pertinente) leggere un articolo a riguardo. 😉
Non mi basta aver spinto un bottone: devo dirlo: questo post mi piace.
È lavoro, e si lavora così (se si lavora bene). Punto. Non ci sono “se” non ci sono “ma”.
Ti dirò una cosa che non ti piacerà molto, ma che credo sia un dato di fatto non solo per me:
quando un editore (e li riconosci subito se hai un po’ d’occhio) passa quei 15-20 minuti a parlarti delle sue opere, ti senti quasi in obbligo di comprare qualcosa.
Questo è un bene? Solo temporaneamente e solo ammesso che: 1. l’acquirente legga poi quello che ha comprato, 2. gli piaccia e dica “cavolo, aveva proprio ragione, questa sì che è una grande opera!”
Se ciò avviene, lo saprai “presto”, perché sarà lui a venire direttamente da te la prossima volta.
Se ciò non avviene, significa che hai venduto una copia, ma non ti sei conquistato un lettore.
Una cosa che apprezzo di te è la lungimiranza, quindi sono sicuro che capirai cosa intendo.
Per quanto mi riguarda, oltre a quelli che ti chiedono soldi per pubblicarti, ho scoperto ultimamente una terza categoria: quella di chi ti dice: trovami un finanziamento e ti pubblico.
Per carità, ognuno ha la propria filosofia editoriale, ma io questi li metto grossomodo allo stesso livello degli editori -tipografia (quelli che ti chiedono di essere pagati).
Guarda: una copia nei nostri magazzini non fa nulla. Una copia nel mondo, prima o poi si conquisterà un lettore. Anche se non fosse la persona cui l’ho messa in mano. Fidati. Io mi fido dei miei libri. 🙂
E so che fai bene a fidarti.
Ti auguro solo che non debba rimanere degli anni in libreria prima di conquistarlo. 😉
(per libreria ovviamente non intendevo il negozio, ma l’oggetto di mobilio)
Concordo in pieno sui consigli dati agli autori/aspiranti e aggiungo: insistete. Se avete speso il vostro tempo per scrivere la proposal, se avete selezionato l’editore che ritenete giusto, se avete seguito le sue indicazioni per mandargli il materiale… allora avete diritto ad una risposta!