A Brief History of BAO – Lorenzo
- 12 Febbraio 2019
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Per la seconda puntata della panoramica sulle professionalità che rendono speciale BAO Publishing, ho fatto una chiacchierata con Lorenzo Bolzoni, il capo grafico della Casa editrice. Negli anni Lorenzo ha assunto sempre maggiori competenze, fino a diventare, a detta di molti, il miglior grafico editoriale che lavori nel Fumetto in Italia oggi. Curioso, attentissimo, sempre desideroso di imparare a fare cose nuove in modi nuovi (o in modi vecchissimi, dato che non è inusuale scoprire che si iscrive a seminari di sign painting su vetro che lo renderebbero in grado di scrivere “Philip Marlowe – Detective privato” sulla porta di un ufficio da film).
Lorenzo, quando sei stato assunto? Come te lo proposi? Da quanto ci conoscevamo già?
Parto dall’ultima domanda: ci siamo conosciuti sui banchi della Scuola del Fumetto di Milano, precisamente al mio terzo e ultimo anno (nel 2006). Io ero un giovane appassionato studente e tu un giovane appassionato insegnante (di sceneggiatura). Ci trovammo così bene
che iniziammo a frequentarci anche fuori dalle aule (un viaggio insieme ad Angoulême, un concerto di Guccini…) e dopo qualche tempo mi offristi i primi lavori. Tu allora lavoravi per Renoir Comics e io in uno studio grafico di Piacenza, la mia città. Iniziai a impaginare
copertine e a letterare fumetti senza quasi sapere come; parlavamo un sacco al telefono, vista la distanza, e in una di quelle lunghe chiacchierate mi rivelasti l’idea folle ed entusiasmante di dare vita a una nuova Casa editrice, con un manipolo di persone fidate. Mi proponesti di essere una di loro e io accettai con scanzonato entusiasmo. Non sapevo esattamente dove sarei finito, né quanto sarebbe durata. E infatti non abbandonai subito lo studio grafico, impaginando i primi libri BAO la sera e nei weekend, da casa.
Ci rendemmo presto conto che una tale gestione non sarebbe potuta durare a lungo e dietro tua sollecitazione feci la scelta di lavorare a tempo pieno per BAO, esattamente dal gennaio del 2012.
Quali erano le tue aspirazioni, in quel momento, e quali competenze sentivi di avere per fare il grafico di una Casa editrice di fumetti?
Dopo due anni passati a dividermi tra due lavori sognavo di poter dedicare il mio tempo solo ai fumetti. Sentivo di avere una preparazione grafica di base che avrei potuto declinare al mondo della grafica editoriale, e un’inossidabile passione: pensavo sarebbe bastato. Non avevo previsto la complessità che il mio ruolo avrebbe assunto nel tempo, ma questa si è rivelata essere la più gradita delle sorprese.
Ci racconti il tuo percorso scolastico?
Ho frequentato il liceo scientifico tecnologico, affiancandolo per un paio d’anni a una scuola d’arte di Piacenza (Istituto Gazzola), che seguivo per due pomeriggi alla settimana. Dopo la maturità ho scelto Disegno Industriale presso il Politecnico di Milano, indirizzo Comunicazione, conseguendo la laurea triennale nel 2003. Quindi il corso triennale presso la Scuola del Fumetto di Milano, diplomandomi nel 2006. I successivi anni sono stati quelli della formazione grafica sul campo presso lo studio grafico Videograf di Piacenza, fino al 2011. Negli ultimi anni ho seguito diversi workshop specificamente indirizzati ad alcune aree della grafica, del lettering e della tipografia, seguendo un mio crescente interesse per queste materie. Cito due corsi che sono stati fondamentali, entrambi presso la scuola CFP Bauer di Milano: il Laboratorio tipografico semestrale (nel 2014) e il corso trimestrale in Type Design (nel 2018).
Quando ti ho conosciuto stavi scrivendo un romanzo grafico sui desaparecidos in Argentina e credo che leggessi praticamente solo fumetti Bonelli. Come è cambiato il tuo gusto, estetico e narrativo, lavorando in BAO?
Le lezioni di sceneggiatura alla Scuola del Fumetto (condotte per i primi due anni da Diego Cajelli e per il terzo da te, come dicevamo) mi avevano appassionato a tal punto da lasciarmi una gran voglia di scrivere e creare storie, oltre che di provare a disegnarle. Ne nacque il fumetto “Senza lieto fine”, che fu il progetto del terzo anno che portai a termine insieme ai miei compagni di classe Floriano Bandera e Silvia Corbetta (che ora lavora in Bonelli). Ero senz’altro influenzato dalle mie letture di stampo storico/realistico, oltre che dai fumetti Bonelli che seguivo con passione e costanza. Amavo la vecchia scuola autoriale italiana: avevo divorato le opere di Attilio Micheluzzi, Sergio Toppi, Vittorio Giardino, Hugo Pratt e, più di tutti, Magnus.
BAO mi ha fatto conoscere e apprezzare quelle graphic novel di natura più personale, storie capaci di raccontare anche ciò che di straordinario si cela nell’apparente quotidianità. Senza allontanarmi dal fumetto “da edicola” (che ha costituito il mio imprinting) ho approfondito autori noti e meno noti della scena internazionale, oltre a maturare uno sguardo più attento sull’attuale – vivacissima – scena italiana.
Ti manca mai il lavoro da autore? Che tipo di storie racconteresti, oggi?
Negli ultimi anni mi sono gradualmente allontanato dall’idea (e dalla pratica) della scrittura, quindi non posso dire che mi manchi. Però nel frattempo ho letto molte, bellissime storie, e quelle che mi piacciono di più di solito hanno qualcosa in comune: fanno agire i personaggi in modo consequenziale e coerente; riescono a farmi immedesimare nei fatti e nelle emozioni che raccontano, a prescindere dal mio vissuto. Forse sono il genere di storie che mi piacerebbe saper raccontare.
In che cosa sono cambiate le tue mansioni in questi nove anni in BAO?
Quando ho iniziato ero l’unico grafico della redazione, ora siamo in quattro. Questo mi ha permesso di concentrarmi gradualmente sulla parte finale della lavorazione del libro, ovvero la sua revisione: che comprende i ritocchi grafici più impegnativi, l’impaginazione della copertina, la verifica accurata dei file di stampa. Ora passo molto più tempo al telefono con i tipografi, affrontando quelle difficoltà di natura tecnica che possono sempre emergere: la ricerca del formato di stampa ottimale, il corretto utilizzo di colori piatti o di quadricromia, la nobilitazione del libro con particolari rifiniture. Infine mi confronto con i nostri autori per fugare eventuali dubbi o per studiare insieme la forma migliore della messa in pagina delle loro tavole (ad esempio preparando il font basato sulla loro calligrafia). È un percorso molto stimolante che si è arricchito di anno in anno di sfumature e nuove competenze. Mi sento fortunato ad avere avuto la fiducia e la possibilità di coltivarlo con ampia e proficua libertà di azione.
Quali competenze senti di avere sviluppato, nel tempo? Ci sono abilità che non avresti mai sospettato di avere?
I libri a fumetti racchiudono felicemente le sfere del graphic design, della calligrafia, del lettering e della tipografia: ho sicuramente approfondito la conoscenza di quest’ultima sia a livello più concettuale (come la forma e la storia dei font) sia a livello squisitamente pratico, cercando di comprendere i procedimenti che stanno dietro a una particolare lavorazione. Ho anche sviluppato una competenza nel disegno delle lettere, di cui il fumetto fa un ampio uso – analogico e digitale – per titoli, onomatopee, loghi e dialoghi. Sono entrambe abilità che inizialmente non sospettavo di avere e che tuttora non domino completamente, anche se mia intenzione è quella di continuare ad approfondirle: il bello, in fondo, è tutto lì.
Dimmi tre cose che adori fare, nel tuo lavoro, e una che proprio non ti piace.
Mi piace parlare di particolari tecnici con i tipografi, cercare il font giusto per un titolo e quel momento in cui sfoglio per la prima volta un nostro libro, rintracciando su carta gli interventi grafici più difficoltosi. Non mi piace quando c’è da fare tutto di corsa, anche se so che fa parte del gioco.
Quali sono le tue prossime sfide, le cose che vuoi affrontare e in cui magari ti vuoi migliorare?
Vorrei conservare la curiosità e l’interesse per tutto ciò che riguarda il mio lavoro; vorrei leggere la montagna di libri che ho accumulato; vorrei sporcarmi di più le mani di inchiostro; vorrei cercare di insegnare agli altri, quando me ne si dà l’opportunità, nel modo più onesto e generoso possibile; vorrei continuare a imparare dagli altri.
Dieci anni fa avresti immaginato di diventare esattamente il professionista che sei oggi?
Dieci anni fa ero sicuramente più inconsapevole di ciò che sarei diventato, ma credevo nella bontà del progetto e di quanto mi avrebbe arricchito. Devo ringraziare il me stesso di allora per quella scelta, dunque, e per un’altra grande intuizione: aver comprato una sedia ergonomica!