Catch me if I fall – Un buon editor guarda i funamboli dal basso
- 10 Gennaio 2017
- 2 Commenti
In una raccolta del 1944, il poeta William Carlos Williams ha scritto la frase per la quale è forse più famoso: No ideas but in things; non vi sono idee se non nelle cose. Era vero della sua poesia, non è detto che valga per tutto e per tutti, ma i fumettisti lo sentono visceralmente, infatti i loro racconti sono dei costrutti, degli oggetti concettuali, che contengono idee che si articolano in storie.
Costruire una storia, per certi versi, non è diverso dal costruire una sedia: si può imparare osservando altri falegnami al lavoro, smontando le sedie che si hanno in casa, e poi provando e riprovando a costruirne di proprie. Le prime non saranno stabili o solide, ma è possibile imparare a costruire sedie degnissime, non solo funzionali, ma persino belle e non solo belle, ma addirittura capaci di ispirare le sedie di altri falegnami, senza aver mai preso una lezione specifica per imparare il mestiere.
Non tutte le sedie sono comode. Molte di quelle che sono degne di essere esposte nei musei non lo sono, ma sono lì perché hanno contribuito in qualche modo originale e fondamentale a far progredire il Grande Discorso Culturale Fondamentale sulle Sedie.
Ecco, certi falegnami hanno moltissimo talento, ma si esprimerebbero anche meglio se avessero un editor: uno che si è seduto su tantissime sedie, sa come renderle più comode e più solide, sa quali sono più richieste, ma non per questo disdegna le virtù di certe sedie per le quali c’è poco mercato, ma che hanno caratteristiche particolari, che le sedie comuni non possiedono.
Come per le sedie, l’editing delle storie a fumetti va fatto al novanta percento prima di cominciare a costruire, perché se poi la storia viene sbilenca e ha le giunture fragili, hai voglia a rimediare a cose fatte (ovvero a tavole disegnate).
Quindi quando un autore manda il soggetto di una storia, l’editing ha inizio. Ecco come succede nella nostra redazione e ovviamente questo non è il solo metodo, non è neanche il solo metodo che usiamo noi, e questo post non vuole darvi a intendere in alcun modo che dovreste fare così. È solo come funziona da noi e per noi.
Il soggetto viene messo alla prova facendo domande all’autore sugli aspetti che ha sviscerato di meno, e gli chiediamo di espandere il testo quanto basta perché tutti gli snodi narrativi e le evoluzioni emotive siano descritte in modo da farci capire come procede la storia, dalla premessa al suo finale. In pratica, quando nessuna frase di un soggetto ci fa venire voglia di chiedere “Perché?” il soggetto è approvato.
A questo punto le cose si fanno particolarmente delicate. La regola più importante della nostra redazione, per quanto riguarda i progetti originali che seguiamo dall’idea alla stampa, è di interferire il meno possibile con la creatività dell’autore (o degli autori), garantendogli però un’attenzione al suo lavoro che ci consenta di avvertirlo se sta facendo qualcosa che ci sembra distonico rispetto alla sua intenzione originale. Noi non chiediamo mai all’autore di darci una sceneggiatura completa (e in sette anni credo che la sola persona che abbia insistito per mandarcela – e intendo per posta, stampata e rilegata, in due corposi fascicoli – sia stato Alessio Spataro, per la lavorazione di Biliardino), ma abbiamo bisogno di una versione espansa del soggetto, un trattamento, se volete, per conoscere passo per passo le sequenze che l’autore intende inserire nella storia. Questo ci consente, quando ci farà vedere un gruppo di tavole consecutive, di dire cose tipo: “Ehi, qui hai cambiato soluzione, rispetto al trattamento!” Al che di solito ci sentiamo rispondere: “Sì, trovo che così funzioni molto meglio” oppure “Oh, caspita, hai ragione, Sagace Editor! Devo rifare queste tre pagine!” In entrambi i casi, la nostra opera di tutela delle sue intenzioni sarà stata efficace.
A volte sono necessari interventi minori, aggiustamenti di meccanica narrativa, che a raccontarli potrebbero far venire il dubbio che certi autori siano veramente distratti. La verità è molto diversa, e non ha a che vedere con l’abilità, il talento o il mestiere.
Alcuni autori creano affreschi così complessi che la lunghezza delle loro stesse braccia impedisce loro di lavorare a una distanza (metaforica) sufficiente dall’opera da consentire loro di vedere tutta la storia a colpo d’occhio. Per questo hanno bisogno di qualcuno che stia qualche passo più indietro, a far notare loro quando qualcosa ha proporzioni strane, o starebbe meglio in un’altra posizione.
Spesso questi interventi avvengono a livello di storyboard, quando cioè l’autore sta studiando il ritmo, sviluppando i blocchi narrativi della storia e negoziando gli spazi sulle singole tavole. In quella fase è più facile, per l’editor, sollevare dubbi o indicare punti che potrebbero essere risolti in modo più efficace. Nella mia esperienza, è anche la fase nella quale spesso l’autore è più disposto ad ascoltare, perché quando sta realizzando l’intero storyboard di un libro è l’autore per primo a mettersi in dubbio, ed è spesso contento di avere un riscontro dall’editor, che in fondo è una forma specializzata di lettore precoce.
Io ho suggerito una pagina a Zerocalcare, circa un anno fa, di una banalità disarmante, ma che gli ha risolto un problema: per creare il senso del passaggio del tempo dopo una scena in Kobane Calling in cui il suo personaggio deve spegnere il cellulare e sta per esserci un flash forward, gli ho suggerito di aggiungere una pagina di stacco nera, con al centro l’icona della batteria in ricarica tipica dei telefoni portatili. Narrativamente non ho alterato in nulla ciò che voleva dire, ma gli ho dato un’idea per trasmettere meglio il senso dello stacco temporale tra due scene. Lavorando ai due blocchi narrativi nello stesso periodo, non gli era venuta in mente questa cosa, assolutamente alla sua portata, ma che aveva bisogno di uno sguardo a mente fredda per essere messa a parole.
Quasi mai ci è successo di chiedere correzioni o modifiche sui disegni finiti di un libro. In altre Case editrici succede regolarmente, ma noi interveniamo solo se proprio un autore non si è accorto di una palese svista, e va detto che in sette anni ci è successo sicuramente meno di cinque volte.
Un romanziere scrive nella solitudine del proprio studio, indisturbato, in balia delle idee e dell’ispirazione, di intenzioni non alterate da alcuna influenza esterna. Poi consegna il manoscritto ed è possibile che il suo editor lo trasformi in qualcosa di completamente diverso (avete mai letto la prosa di Carver prima che ci mettesse le mani Gordon Lish?).
Viceversa, uno sceneggiatore cinematografico scrive tutto un film, che poi viene modificato più volte da più mani, e poi in fase di riprese emergono istanze che portano a ulteriori modifiche e insomma, dal momento in cui la sceneggiatura è terminata la lotta per proteggerne l’integrità dell’idea finisce solo in sala di montaggio.
Il Fumetto è a metà: non subisce tutte le interferenze dall’esterno di un film, ma non sempre nasce nel totale solipsismo della scrittura in prosa. Cioè, può, ovviamente; all’inizio abbiamo parlato di falegnami indipendenti e autodidatti bravissimi, ma a volte a un falegname viene voglia di andare da una fabbrica di sedie di cui stima i prodotti e dire: “Voglio fare una sedia per voi. La vorrei fare così e così. La volete? Mi guardate mentre la faccio, così mi aiutate a farla bella come le vostre altre sedie, ma mia, proprio mia, che si veda in ogni dettaglio che è mia?”
A volte gli autori sono contenti dei suggerimenti, delle critiche, dell’editing. Altre volte si arroccano sulle loro posizioni e temono che cambiare quel singolo dettaglio comprometterà l’integrità della loro opera. A volte hanno ragione, e l’editor cede. Altre volte hanno torto, si affezionano più all’abbozzo iniziale della loro opera di quanto sarebbe utile per restare obiettivi sulla sua efficacia, e in questi casi a volte vince l’editor, a volte no, perché un autore scontento è una cosa molto più grave di un libro imperfetto, ma onesto e pieno di cuore.
Ecco, il lavoro dell’editor richiede molta diplomazia, altrettanta psicologia, la capacità di mettersi in dubbio e di far mettere in dubbio l’autore, devozione alla storia e soprattutto al suo cuore emotivo, che è la cosa che solo il Fumetto tra tutti i media narrativi è capace, quando è fatto bene, di esprimere con trasparenza assoluta. Il lavoro dell’editor richiede anche la capacità di ammettere che non si è adatti a fare l’editing di un certo libro, per mancanza di affinità umana con l’autore, o con i temi, o con lo stile narrativo.
Noi in BAO, per esempio, ieri abbiamo fatto una riunione proprio per ripartirci l’editing dei titoli originali previsti per il 2018. E non è bastato fare la lista e assegnare ogni libro a qualcuno: su un paio di titoli ancora ci stiamo interrogando, e vogliamo assicurarci che abbiano la persona giusta a proteggerli, a perfezionarli, a farli esprimere al meglio.
Quando riusciamo a far capire ai nostri autori che abbiamo a cuore la stessa cosa, che sappiamo che ogni libro fa storia a sé e che non abbiamo nessuna intenzione di farli con lo stampino, che siamo lì per loro, ma che non vogliamo fare nulla al posto loro, allora abbiamo vinto. E quando questa sintonia tra chi racconta la storia e chi ne agevola la trasformazione in un libro stampato è forte, i libri escono più belli.
Quando ad aprile dell’anno scorso alcuni colleghi hanno preso in mano davanti a me Da quassù la terra è bellissima di Toni Bruno, che è il suo quarto libro, ma rappresenta un balzo qualitativo immenso rispetto ai suoi lavori precedenti, mi hanno chiesto, in modo molto diretto, con ammirazione e curiosità: “Che cosa gli hai fatto?”
Io ho fatto spallucce e ho detto la verità, che è vera ancora adesso, nove mesi e seimila copie dopo: “L’ho fatto lavorare sereno.”
La magia l’ha fatta Toni. Io ero solo qualche metro sotto, pronto a prenderlo se fosse caduto. E, forse proprio perché sapeva che io ero lì, lui non è caduto.
Su questo tema ci torneremo, tra un paio di mesi, con un post di esempi pratici su libri veri.
2 commenti su “Catch me if I fall – Un buon editor guarda i funamboli dal basso”
Grazie Michele.
Bel post, molto interessante (ero uno di quelli che aveva chiesto un approfondimento proprio sulla figura dell’editor)!