Costruire una copertina – Prima parte
- 31 Marzo 2017
- 2 Commenti
Questo post è il primo di tre che si occuperanno di un tema editorialmente spinoso e sul quale è stato detto di tutto, nei decenni: le copertine. Partirò da un esempio virtuoso, poi esplorerò le esigenze editoriali e autoriali nei confronti della copertina di un libro, per poi concludere cercando di delineare dei princìpi-guida, che ovviamente non sono regole infallibili o assolute, e saranno comunque molto specifici all’editoria del Fumetto.
Non so se ci avete mai fatto caso, ma ci sono due tipi di proverbi: quelli basati sul buonsenso e sull’osservazione empirica (Rosso di sera, bel tempo si spera, oppure Chi dorme non piglia pesci) e poi ci sono quelli sulle aspirazioni morali, che a volte secondo me sono più difficili da difendere. L’abito non fa il monaco è una bellissima verità, filosoficamente, ma è anche vero che in generale, se ti vesti bene, chi deve fidarsi di te è più incline a farlo. In inglese questo proverbio ha due equivalenti: per dire che a volte l’apparenza trasandata nasconde qualità umane superiori all’aspetto si dice The clothes don’t make the man, mentre per cautelare dal facile entusiasmo nei confronti di qualcosa di attraente, ma non per forza di valore (un po’ come il nostro Non è tutto oro quel che luccica), si dice You can’t judge a book by its cover.
E in effetti non dovremmo giudicare un libro dalla copertina. Però lo facciamo sempre.
La copertina di un romanzo in prosa ha il diritto, in molti casi, di essere un non sequitur concettuale, perché in molti casi è la sola immagine associata a quel libro, mentre nel caso dei fumetti la responsabilità della copertina è immensa, perché deve essere non discordante rispetto allo stile grafico dell’interno, che il potenziale lettore ha modo di conoscere anche semplicemente sfogliando il volume in negozio, prima di portarlo a casa con sé.
Sfogliare un fumetto che non si conosce dà al potenziale acquirente molte più informazioni di quante non ne dia un romanzo in prosa. Si ha la sensazione di conoscerlo già, ed è per questo che è così importante che la copertina non tradisca le sensazioni che il libro ha trasmesso di primo acchito a chi lo ha preso tra le mani.
Quando è venuto il momento di creare la copertina di Da quassù la terra è bellissima, il più recente romanzo grafico di Toni Bruno, c’era da considerare una serie di problematiche: il libro parla di cosmonauti, di traumi psicologici e della guerra fredda. Cercare di comunicare tutte queste cose in una sola immagine poteva essere un’impresa.
Sapevamo che al centro di tutto ci doveva essere Akim, il cosmonauta, per una serie di ragioni: è uno dei due protagonisti assoluti della storia ed è un personaggio con la cui presenza è facile empatizzare.
Nei fumetti italiani è fondamentale la presenza di una figura umana in copertina. Le copertine simboliche, di solo design, generano meno empatia e meno interesse, con l’eccezione di quelle che abbiano il nome di un autore amatissimo sopra. La rispondenza del contesto della copertina alla trama è relativamente meno importante, ma per quanto ci premesse trasmettere il senso di alienazione che Akim prova dopo la sua missione spaziale, ci dovevamo arrendere al fatto che nel libro non lo si vede mai nello spazio.
Anche la soluzione pregna di pathos emotivo era da scartare: la storia di Toni è emozionante, ma come lo è L’attimo fuggente, non come Aliens. C’era bisogno di trovare un equilibrio tra il mondo da cui Akim è stato traumatizzato (lo spazio) e quello nel quale si sente allo stesso tempo bloccato e fuori posto (la terra).
Dopo un tentativo concettuale (una stanza che potrebbe essere un abitacolo spaziale, ma che in realtà si apre su un normalissimo cortile terrestre) e uno psicanalitico (Akim sulla poltrona di casa, ma nello spazio)
ci siamo resi conto che potevamo usare l’abbigliamento di Akim per dire “spazio” e che potevamo usare lo sfondo per dire “guerra fredda” o almeno “anni Sessanta”.
La stupenda finezza narrativa di questo bozzetto è che la cucina è a gravità zero, ma il solo che sembra attrezzato per il cosmo ha i piedi incollati per terra, perché non riesce a volare. Dal punto di vista contenutistico, c’era tutto quello che volevamo, ma non soddisfaceva la mia regola dei tre metri.
La regola dei tre metri è la teoria provocata dalla mia terrificante miopia: se passo tra gli scaffali in libreria e la copertina di un libro non mi attira da una certa distanza, non ha fatto il suo lavoro e non è colpa mia se ignoro una storia potenzialmente stupenda. Nel prossimo post parleremo un sacco della regola dei tre metri, perché ragioneremo di parametri generali e finiremo per sbatterci contro ogni volta che crederemo di aver evinto una regola per creare buone copertine. Nel caso di questo bozzetto di Toni, non c’era alterazione cromatica o di illuminazione che potesse rendere questo disegno impattante come serviva per assicurare l’attenzione del pubblico tra gli scaffali delle librerie.
Quindi:
Ecco. La sensazione di un crash landing, di un atterraggio imprevisto, dal cosmo direttamente nell’America rurale degli anni Sessanta (che strizzava l’occhio al fatto che Akim è russo, ma Jones è americano, e le due realtà sociali collidono nella storia). La postura fisica di Akim che sembra volersi scusare dell’intrusione. La sensazione di un’entità aliena che trafigge la quotidianità, e che allo stesso tempo trasmette un disagio. C’era bisogno di lavorare sulla posa del personaggio, cosa che Toni ha subito fatto.
E poi c’era bisogno di spostare la staccionata perché ingombrasse meno e liberare spazio perché il logo BAO non avesse scomode tangenze con elementi del disegno. A volte non ci preoccupa mettere il logo in IV di copertina, ma ben più seria della mia regola dei tre metri è la regola dell’un-due-tre, quella che decreta quali tre elementi vengono notati da chi guarda una copertina. Sapevamo che il nome di Toni era poco noto ai più, quindi non sarebbe stato uno degli elementi notati per primi. Sapevamo che si sarebbero visti, nell’ordine, il disegno, il titolo e il logo BAO, del quale i lettori ormai si fidano, soprattutto quando non conoscono già il libro che hanno tra le mani.
Quando ho avuto questa bozza ho capito che il libro al quale Toni aveva lavorato due anni, e lungo tutta la cui lavorazione ero stato al suo fianco, sarebbe stato un successo: perché che era bello lo sapevo da sempre, ma non potevo avere la certezza che i potenziali lettori ci si sarebbero avvicinati. Quando ho fatto vedere questa bozza in redazione ho avuto solo reazioni di entusiasmo. Nessuno ha sollevato dubbi. Toni ha avuto subito luce verde.
Ho voluto cominciare questo lungo discorso sulle copertine con un caso in cui tutto è andato liscio e la visione dell’autore è coincisa con quella dell’editore e della redazione. Ringrazio Toni Bruno per avermi permesso di usare questi bozzetti inediti, e la settimana prossima parleremo di tutto ciò che può andare storto in una copertina. Perché ci sono libri che non parlano di avventura, ma creare la loro copertina è quasi sempre un’avventura.
2 commenti su “Costruire una copertina – Prima parte”
Davvero interessante
Illuminante, come sempre…
Attendo con vivo interesse le altre puntate.