L’uomo che mette “fico” in “grafico”
- 16 Maggio 2014
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C’è una persona nella mia squadra che è responsabile dell’aspetto di tutto ciò che facciamo. Dalla veste dei libri, per la quale lavora a braccetto con me in qualità di product manager, alla grafica di tutta la comunicazione istituzionale della Casa editrice, il grafico di redazione è una figura fondamentale e che può fare o sabotare il successo di un’azienda. Io ho la fortuna di lavorare con uno dei migliori, Lorenzo Bolzoni. Gli ho fatto qualche domanda per voi.
In cosa consiste il tuo lavoro, da quando ricevi gli impianti di un libro straniero da pubblicare, e come interagisci con il resto della redazione?
Gli impianti arrivano generalmente “zippati”, compressi in file di grandi dimensioni, per cui la prima cosa da fare è accertarsi che non manchi nulla e che siano documenti compatibili con i programmi che usiamo in redazione, quelli della Adobe Creative Suite (e infatti quando scopro che alcuni di questi – quasi tutti francesi, chissà perché – sono impaginati in XPress, mi prende un pizzico di nostalgia e sconforto… ho lavorato per anni su XPress, e mi piacerebbe che il nostro rapporto si limitasse ad un affettuoso ricordo).
I passi successivi sono: adattare l’impaginato alle dimensioni che abbiamo scelto per l’edizione italiana, ripulire le tavole dal lettering originale e fare tutte le correzioni grafiche necessarie, disporre le caselle di testo in InDesign (praticamente un esercizio zen) e infine inserire la traduzione. Copertina, sovraccoperta e risguardi si lasciano per ultimi: la priorità va alle pagine interne, anche perché dovranno affrontare un lungo percorso di riletture e correzioni prima di essere pronte per la stampa.
Le persone indispensabili perché tutto proceda bene sono prima di tutto coloro che dividono la stanza dei grafici con me, ovvero Andrea e Cosimo, che generalmente fanno il “lavoro sporco” di pulizia delle tavole e disposizione delle caselle di testo. Canzone dedicata loro: “Una vita da mediano”.
Subito dopo passiamo la palla (tanto per restare in tema) ai correttori di bozze, per due giri di riletture e correzioni. Generalmente chi traduce non si rilegge, ma rimane l’interlocutore primario per fugare qualunque dubbio o problematica, anche perché spesso è il supervisore medesimo di quel tipo di libro (a seconda che siano titoli francesi, serie americane, one shot…)
Infine viene l’ufficio stampa, cui forniamo tutto il materiale necessario per promuovere al meglio i libri freschi di stampa.
In che modo cambia il tuo lavoro quando si tratta di creare ex novo un libro italiano?
Di certo anche una idea grafica molto semplice, se creata ex novo, richiede inventiva e gusto, e soprattutto tempo per confronti e discussioni. Per la recente edizione BAO della serie Orfani la stanza dei grafici è stata impegnata diversi giorni solo per catalogare e impaginare al meglio il materiale grafico che avevamo a disposizione, con uno sforzo davvero notevole. A volte ci affidiamo anche all’aiuto di grafici esterni, quando cerchiamo proposte grafiche molto fresche, che possano “stupire” la redazione e i lettori (un nome su tutti: la bravissima Anna Iacaccia). Recentemente stiamo proponendo agli autori italiani che pubblicheremo nella collana “Le città viste dall’alto” la creazione della font basata sulla loro calligrafia, per rendere il loro libro ancora più personale e completo. Il contatto diretto e franco con loro è sicuramente indispensabile per la buona riuscita del libro. Finora è stato facile: sono tutte persone squisite, oltre che ottimi artisti.
Quali abilità specifiche alle esigenze del fumetto hai dovuto sviluppare o affinare quando hai cominciato questo lavoro?
Il mio primo lavoro come grafico è stato presso uno studio che si occupava di tutto: dai biglietti da visita, ai diari scolastici, ai calendari osé per carrozzerie (giuro). Lì sono rimasto circa dieci anni, e ho imparato a risolvere i problemi che un grafico deve affrontare più o meno quotidianamente. Impaginare un fumetto invece, vuol dire dedicare molto tempo al lettering, ovvero alla ricerca della miglior disposizione di un dialogo all’interno dei balloon. Con gli anni credo di aver affinato un mio personale gusto nella scelta delle font o come, banalmente, “andare a capo” e quando mi capita di revisionare alcuni dei primi titoli BAO, magari in vista di una ristampa, mi stupisco di alcune scelte che avevo fatto solo pochi anni fa, e che ora mi sembrano ingenue. Di certo ho sviluppato una maggior conoscenza, e rispetto, per la tipografia.
Ci sono cose che quando hai cominciato in BAO non sapevi fare e che ora hai fatto tue? Ti sei perfezionato a livello tecnico con corsi o seminari?
Aggiornarsi è fondamentale, e questa non è la solita frase fatta. Mi sono sempre interessato alla grafica (vengo da una laurea breve in Disegno Industriale e da tre anni di Scuola del Fumetto) e negli anni ho accumulato in modo quasi bulimico una gran quantità di materiale di studio e approfondimento, ma solo quando ho frequentato un corso professionale specificamente mirato verso la tipografia (con lezioni di storia della tipografia, type design, calligrafia, stampa tradizionale e rilegatoria) ho capito quanto era stata felice questa idea, perché da allora ho potuto riversare proficuamente nel lavoro le mie nuove competenze. Il mondo della grafica è un treno in corsa, e stare fermi sulla banchina, per quanto comodi, non è la scelta migliore (e ve lo dice un pendolare). Scegliete un treno, non necessariamente uno dei più moderni, e affrontate il viaggio con curiosità e interesse: scoprirete stimoli inaspettati per la vostra professionalità.
Tra le tante cose che ho appreso in BAO, quella fondamentale è il rigore nel metodo di lavoro. Non ci sono preferenze, non contano i nomi in copertina: il libro più importante del catalogo è sempre quello in lavorazione.
Qual è la parte che più ami del tuo lavoro e quella che invece ti pesa di più?
Tra i “Giusti” citati nella poesia di Borges c’è “Il tipografo che compone bene questa pagina che forse non gli piace”. Quello che amo del mio lavoro è proprio questo: dedicarmi con dedizione e onestà al lavoro altrui, affinché sia presentato e preservato nel migliore dei modi. E amo il fatto che sia un atto silenzioso, quasi invisibile se fatto bene. Ci ha già pensato il poeta a rendere onore a tutta la categoria 🙂
Mi pesa la ripetitività di alcuni gesti strettamente legati alla produzione.
Tre doti umane che reputi fondamentali per fare questo mestiere.
La capacità di dialogo, perché il grafico non lavora in solitaria, ma deve continuamente confrontarsi con i colleghi, gli autori e tutte quelle figure professionali necessarie alla buona riuscita di un libro (prima tra tutte il tipografo). È essenziale saper comunicare.
L’attenzione serve a non ripetere gli stessi errori, sembra banale ma è uno dei segreti per fare libri belli.
La passione perché… chevvelodicoaffà.
Un consiglio per chi vuole cominciare a fare il grafico nel mondo del fumetto.
Citando Stefano Tamburini: “Per fare grafica ci vogliono muscoli”.
Sì, credo sia davvero il consiglio migliore.
Grazie a questa intervista ho scoperto la vena lirica del mio capo grafico, mi posso dire soddisfatto. Della sua sensibilità non ho mai dubitato (e sono sette anni che lavoriamo insieme). Spero che da questo post vi sia arrivata la sensazione che è possibile lavorare come grafici per una Casa editrice in qualità di collaboratore esterno, ma che il meglio si ottiene solo se qualcuno ti assume. L’editoria è uno sforzo collaborativo, che beneficia dalle reciproche influenze. La redazione ha bisogno di un grafico interno (nel nostro caso di due, a tempo pieno) per strappare il progetto di un libro dal mondo delle idee e portarlo nel mondo materiale. L’interazione tra un buon grafico e un progettista che conosca i materiali, le finiture, le possibilità tecniche e i loro costi porta a libri bellissimi. Che, l’abbiamo già detto, sono i soli che valga la pena di fare.