21 commenti su “Perché il 99% dei curricula che mandate non serve a nulla

  • Un post sicuramente interessante per chi non è del mestiere e vorrebbe farne parte per cui mi spingo anche io un po’ più in la.
    Mi rendo conto che la domanda potrebbe sicuramente terminare in un secco “no” ma mi chiedo questo: nel mondo delle case editrici esiste spazio per la figura del project manager? Con project manager intendo quella grigia figura che nel mondo delle grandi aziende normalmente si accolla l’onere (e quasi mai l’onore) di portare a casa un progetto, definire un programma credibile, spiegare ai vari attori coinvolti perchè questo programma è credibile e perchè se facciamo tutto in una settimana verrà uno schifo, tenere in riga il budget e cose così.
    Spesse volte viene anche definito (in modo riduttivo) facilitatore, normalmente nelle banche e nelle assicurazioni (dove io lavoro da ormai cinque anni come consulente) è una figura amata/odiata perchè fa un po’ la mamma che entra in camera da letto dicendo “questa camera fa schifo mettila in ordine!” però che se gli viene data fiducia, e la persona è valida, normalmente riesce a portare risultati tangibili perchè ha una mentalità improntata al risultato, al pensiero laterale ed è abituata a ragionare con dati scarsi e parziali.
    Forse in una realtà “famigliare” come BAO è una figura inutile però è un po’ che mi interrogo se in questo mondo ci sia posto per figure del genere anche perchè spesso parlando con persone che vivono il mondo del fumetto mi sembra che molte cose vengano fatte con tantissimo cuore e pochissima testa.
    Grazie per la risposta!

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    • Più che altro, Marco, spesso i progetti in una Casa editrice nascono dall’interno, per cui questa figura è svolta in parte dalla direzione editoriale e in parte da chi si occupa direttamente della produzione (quindi chi tiene i contatti con i fornitori). Non è che non ci sia “testa” (soprattutto in BAO, credimi), è che non c’è bisogno di devolvere un intero stipendio a una figura che fa solo questo. Certo, in aziende molto più grandi il discorso probabilmente cambia.

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      • Immaginavo questa risposta che, in effetti, ha perfettamente senso viste anche le dimensioni di Bao.
        Ah, sicuramente il discorso “molto cuore pochissima testa” non era riferito a voi 🙂
        Spero che un giorno cresciate tanto da averne bisogno!

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  • Non sono un’aspirante del mestiere, però le indicazioni che date sono interessanti, e vorrei chiedervi: cosa ne pensate del CV formato europeo? Se si presentasse un modello di curriculum vitae diverso, più scarno e veramente essenziale (che stia in una cartella di Word) comprensivo di immagini e colori (io metto i loghi delle aziende, a mo’ di LinkedIn) e molto diretto all’obiettivo (voglio far vedere solo le cose che potrebbero interessare all’azienda), lo prendereste sul serio? Lo valutereste al pari dei CV formato europeo, lo scartereste a priori perché “fuori dallo standard” oppure gli attribuireste qualche nota d’interesse in più (e sicuramente rimarrebbe a mente, perché per adesso lo fanno in pochi)?

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    • Domanda interessante. Dipende. Un CV molto scarno in termini di preparazione formale o di esperienza lavorativa, se molto “estroso” rischia di dare l’impressione che il candidato volesse distrarre con la grafica, ma in effetti sì, lo si legge più volentieri, a meno che la grafica non faccia confusione.

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      • Certo, io ho creato un CV di questo tipo non tanto per essere estroso o per mascherare delle falle nell’esperienza, ma proprio per essere più immediato alla vista di chi lo legge. E pare essere chiaro in termini di grafica (uso una cartella word orizzontale, nel quadrante in alto a sinistra metto foto e dati personali, in basso a sinistra le competenze, in alto al centro la formazione e su tutta l’ala destra la mia esperienza lavorativa, in basso nel margine scrivo il permesso a trattare i dati). Scrivendo le stesse cose con un modello europeo, risultavano 3/4 pagine, così invece con una facciata faccio tutto, ed è visibilmente più intuitivo del formato UE. Però ho sempre il dubbio che le aziende possano scartarlo a priori perché diverso dagli standard.
        Grazie mille per il feedback, e speriamo che in questo modo il lavoro arrivi! 🙂 (Sto usando questo metodo da circa 3 mesi, vi saprò dire 😀 ).

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  • Ho una domanda che può sembrare strana di qeusti tempi: apprezzereste l’invio di un CV magari con portfolio allegato attraverso snail mail? Soprattutto considerando il fatto che i CV, come avete ribadito anche voi, vengono spesso conservati per rispndere a esigenze future. A me è capitato che lo richiedessero, e in genere non so mai se mandarlo prima via mail o se può essere più utile far viaggiare altra carta per il mondo.

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    • Sara, di cosa stiamo parlando, di un CV per una posizione di grafico? Non serve, un portfolio digitale va benissimo. Se invece parliamo di un autore che si vuole presentare, questo discorso non vale. Noi rispondiamo a tutti gli autori, anche se spesso ci vuole molto tempo per farlo.

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      • Mi scuso per il ritardo nella risposta, non mi ero accorta della replica al commento.
        Mi riferivo a curriculum per una posizione di traduttrice, o da accompagnare alla presentazione di proposte di traduzione.
        Mi è capitato spesso di essere ‘ignorata’ inviando un curriculum via email, e a volte mi è stato chiesto di inviare un curriculum cartaceo da conservare nel caso di esigenze future. La mia esperienza è più in campo tecnico che editoriale, e mi chiedevo se in campo editoriale ci fosse un motivo per preferire una presentazione ‘cartacea’.

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  • Tutto giusto. Però poi uno si presenta come richiesto con un progetto, si ri-presenta, scrive, viene di persona a Più libri più liberi lascia un altro progetto, scrive per sapere se almeno il secondo non è stato buttato nel cestino e non ottiene mai risposta. mai. neanche una riga dopo mesi (la mia prima mail è datata maggio 2014). niente. Zero. E allora mi viene da pensare che è tutto inutile, che sarebbe più onesto dire: o vi cerchiamo noi o lasciate perdere perché tanto non ci interessa. Tutto qui. Con immutata stima.
    F.

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    • Guarda, capisco la frustrazione per i tempi di attesa, ma è un discorso diverso: ai progetti rispondiamo SEMPRE, ma la redazione deve trovare il tempo di valutarli, e possono passare anche sei mesi dalla ricezione. Questo post parlava di CV per impieghi redazionali o d’ufficio, non di collaborazioni creative.

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      • So che sono fuori tema, ma ho usato questo post come valvola di sfogo. A volte, è l’unica cosa che resta. E capisco che ci voglia tempo per una valutazione e che non sono nella posizione di pretendere nulla, ci mancherebbe. Quello che proprio non riesco a mandar giù – ed è un discorso che non riguarda solo Bao – è non riuscire mai a ricevere neanche due righe che dicano: sì, l’abbiamo ricevuto il tuo progetto, quando siamo comodi ti facciamo sapere. Tutto qui. Ci vogliono tre secondi netti, ma in Italia se non conosci almeno il cugino del fratello dell’omino del parcheggio di quello che lavora in redazione te lo puoi scordare. O almeno questa è la mia esperienza. Magari sono solo stato mooolto sfortunato!

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  • In linea di massima ho anch’io l’impressione che la concorrenza sia spesso impreparata e non riesca a presentare all’editore un motivo concreto per cui potrebbe valere la pena di ricontattare l’aspirante. Su come questo possa essere fatto concretamente (redazione curriculum e lettera di presentazione) un discorso approfondito finirebbe per essere lungo il doppio dell’articolo originale.

    In merito alla questione lavoro/disoccupazione giovanile c’è anche in giro una certa quantità di lamentele verso i datori di lavoro che richiedono quasi sempre esperienza pregressa, rendendo di fatto difficile l’acquisizione della stessa. Qui il punto credo sia semplicemente di “forza contrattuale”: al datore di lavoro non importa nulla della questione, semplicemente perché non è un servizio di assistenza sociale e la cosa non lo riguarda, ed è l’aspirante a doversi ingegnare per inserirsi negli spiragli che a volte si creano per necessità contingenti. Se si cambia prospettiva cercando di sfruttare il meccanismo a proprio favore, riuscire ad avere qualcosa di significativo da mettere a curriculum significa conseguire un vantaggio non irrilevante nei confronti di larga parte degli aspiranti.

    Da neo (molto neo…) traduttore, vedo che una cosa che a volte paga è proporsi per un progetto preciso, ovvero per lavorare a un’opera che si conosce bene. Prendere contatti con un nuovo collaboratore (anche non esordiente) è una gran scocciatura: devi istruirlo, devi seguirlo un pochino agli inizi, non sai bene come lavorerà e cosa ti presenterà, eventualmente devi fargli un test… se si è contenti dei collaboratori attuali nessuno si metterà mai a farlo, perché non ha senso. Se però ti proponi come esperto della materia, mostrando di avere una carta in più nel caso specifico, il discorso potrebbe cambiare.

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  • E se sono solo aspirante editor ma ho solo studiato (e praticato tramite esercitazioni) e mai lavorato per nessuno? Per studiato intendo corsi, non laurea.

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    • Michele Foschini dice:

      Guarda, Elisa. Hai le stesse possibilità degli altri di farti notare, anche se in certe Case editrici il cursus accademico ha un suo peso. Però se pensi di essere in grado di spiegare a un potenziale datore di lavoro perché tu meriti attenzione, e una scrivania, allora hai una chance. Questo è un mestiere altamente meritocratico, ma in cui si cerca di tenere l’organico al minimo indispensabile. Se saprai bussare alla porta giusta, quando si libererà una posizione (e lo so che sembra aleatorio e improbabile, ma nessuno ha detto che debba essere facile) allora te la giocherai insieme ai laureati e ai masteristi. Chi ti scrive non è laureato, ma dirige questa strana baracca, in fondo. 🙂

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