Perché trasmettersi bene significa vendere bene
- 30 Aprile 2014
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“To market” significa portare la propria merce verso il mercato, renderla disponibile. Non implica l’atto di vendere in sé, ma allude a tutto ciò che serve a far sì che la propria utenza voglia comprare. Negli anni, l’abuso di termini inglesi da parte degli operatori economici ha reso antipatiche numerose espressioni che non avevano di per esse alcuna valenza negativa, e tra queste la parola marketing è oggi tra le più disprezzate. C’è invece qualcosa di molto nobile, onesto e utile nello studio del mercato, delle sue esigenze, delle opportunità e delle criticità.
Nel febbraio del 2010, sul catalogo del nostro distributore per le fumetterie appariva questa pagina pubblicitaria.
Era il primo teaser dell’imminente debutto della BAO sul mercato. Per un anno, la mia socia e io avevamo girato fiere di fumetto per puro diletto, continuando a ripeterci, davanti a certi prodotti, che “sarebbe bello che in Italia ci fosse” o “chissà perché da noi non fanno volumi così”. Senza saperlo, stavamo facendo marketing analitico. Studiavamo, insomma, le esigenze ancora insoddisfatte del mercato secondo un’ottica demand-based.
Solo alla Buchmesse di Francoforte del 2009 mi ero convinto, spronato da alcuni colleghi, a pensare seriamente che potevamo fondare una piccola azienda cercando di sfruttare la nostra esperienza di produzione libraria (io) e di ufficio stampa e organizzazione di eventi culturali (lei). Ironicamente, di lì a poco di quei colleghi saremmo diventati concorrenti, e ne avremmo cominciato a studiare la produzione per capire effettivamente cosa offrire ai lettori italiani che ancora mancasse loro, secondo un’ottica supply-based.
Guidati dal nostro gusto personale, selezionammo una serie di titoli che ritenevamo avrebbero potuto costituire un buon biglietto da visita per farci conoscere dall’esigente, diffidente, abitudinario pubblico italiano. L’intenzione iniziale era di pubblicare meno di dieci libri l’anno.*
Al momento di scegliere i partner commerciali necessari a raggiungere tutti i canali di vendita che ci interessavano (fumetterie, librerie generaliste fisiche e online, Grande Distribuzione Organizzata – ovvero tutti tranne le edicole), cominciammo a interrogarci su cosa ci avrebbe potuti rendere appetibili agli occhi dei distributori. Ci rendemmo conto che c’era margine per migliorare la qualità media delle edizioni e che non eravamo tenuti a limitarci a un solo segmento del mercato, a patto di confezionare libri che per reputazione, valore culturale e cura produttiva avessero una durata economica maggiore del tipico prodotto da fumetteria. Con l’incoscienza di chi non ha nulla da perdere e tutto da guadagnare, facemmo marketing strategico con la sciocca convinzione che la qualità assoluta dei nostri prodotti ci avrebbe dato un rapido vantaggio competitivo.
Ovviamente non andò così. Passammo due anni a convincere il mercato delle librerie generaliste a darci una vera chance e il mercato delle fumetterie che non eravamo un fenomeno estemporaneo, che saremmo restati abbastanza a lungo da creare un catalogo davvero significativo.
La cosa che ci venne ben sin da subito, però, fu il marketing operativo. Trovammo il giusto mix tra caratteristiche produttive appetibili, un corretto placement nei punti vendita (sebbene timido, agli inizi), una politica di prezzi che sulla carta apparivano alti, ma che confrontati con la quantità e qualità intrinseche di ogni libro si rivelavano corretti e una strategia promozionale accattivante e di profonda chiarezza comunicativa, che entusiasmava i potenziali lettori.
E gli autori. La nostra campagna di acquisizione di diritti stranieri, che aveva avuto i primi successi perché avevamo fatto offerte più generose della media dei nostri concorrenti a causa del fatto che pensavamo di poter vendere più copie di loro sfruttando meglio il canale delle librerie generaliste (cosa che almeno all’inizio non ci riuscì) ebbe una svolta clamorosa quando oltre a parlare con gli addetti ai foreign rights delle case francesi e americane cominciammo a relazionarci con quegli autori che gestivano in prima persona le loro licenze estere.
Insomma, il giorno che incontrammo per la prima volta Jeff Smith e volevamo portarlo a mangiare nella trattoria di Barcellona preferita dal compianto Manuel Vázquez Montalbán (e il tassista ci portò per errore al cimitero della città), Jeff ci chiese se avremmo preso in considerazione l’idea di pubblicare Bone in italiano in un solo volume.
Noi ci riprendemmo dalla sorpresa e dicemmo “sì” come se quasi ci avesse offeso la domanda.
Che diamine. Certo. Come no. Che ci voleva?
L’integrale di Bone fu il nostro primo vero successo, lento e inarrestabile tanto in fumetteria quanto in libreria e dopo due anni e mezzo dal debutto ha venduto quasi diecimila copie. Lo ristampiamo regolarmente.
Da allora, gli autori ci cercano. Con frequenza sempre crescente, quando hanno bisogno che la loro visione di uno specifico progetto arrivi in modo cristallino al pubblico, quando vogliono qualcuno disposto a osare e a scommettere sulla qualità pura – senza dimenticare che il modo di trasmettere un’opera cambia da libro a libro – vengono da noi. Non sempre funziona, non abbiamo la bacchetta magica, ma sempre più spesso esauriamo le nostre tirature, che sono solitamente più alte della media di quelle della concorrenza. Il motivo è che noi ascoltiamo con attenzione il pubblico e cerchiamo di non imbarcarci in progetti che non sappiamo spiegare in modo chiaro e immediato.
Così come ci sforziamo di armonizzare nel nostro catalogo il materiale che sappiamo che andrà meglio in fumetteria con quello che sarà più venduto nella libreria generalista, allo stesso modo cerchiamo di prendere per mano tanto i lettori abituali, esperti e smaliziati, quanto quelli che si avvicinano al fumetto per la prima volta, che non vogliono esserne intimiditi, che hanno bisogno di provare una meraviglia lucida e consapevole, per capire che possono perdersi in un buon libro a fumetti tanto quanto già fanno con quelli in prosa.
A dicembre compiremo cinque anni.
Ci confrontiamo regolarmente con editori francesi, inglesi, americani, spagnoli e tedeschi, per capire dove sta andando il gusto dei lettori di oggi e da dove arriveranno quelli di domani.
La parte strategica della nostra attività al momento è occupata largamente dalla gestione dell’innovazione: dai nuovi canali di vendita ai nuovi supporti (digitali e intangibili), passando per le innovazioni cartotecniche e tipografiche (stiamo lavorando perfino a un libro con chip NFC integrato!), che rendono il product management una parte fondamentale del continuato successo di BAO. Abbiamo una responsabilità: costringere chi vuole stare al passo a impegnarsi sul serio e dare agli autori, ai progetti, tutto il sostegno che una Casa editrice dovrebbe offrire.
Nel tempo, mi sono sentito dire più volte che “è facile fare l’editore con i soldi”, come se fosse una colpa. La verità è che senza capitali non si dovrebbe cercare di fare l’editore, che è un lavoro vero e non può essere un hobby o una cosa fatta senza competenza e convinzione. Ma la verità è anche che i soldi non bastano. Senza capacità di innovare, rinnovare, rinnovarsi, imparare dai propri errori e abbracciare i cambiamenti del mercato, non si fa un buon servizio ai lettori, agli autori, ai libri. Sì, in quest’ordine.
Vi sembrerà assurdo, ma noi vorremmo più concorrenza. Vera concorrenza. Quella di libri che vorremmo comprare da lettori, non che avremmo voluto comprare da editori. La concorrenza delle idee, della creatività e del fermento produttivo. La concorrenza che rilancia l’economia e fa vincere, per primi, tutti quelli che decidono di investire parte del loro potere d’acquisto nei libri che facciamo.
Domani parliamo di soggetti. Scrittori, preparatevi.
*In questo abbiamo fallito miseramente, pubblicando quattordici titoli nel 2010, ventinove nel 2011, cinquantacinque nel 2012, sessantacinque nel 2013 e quest’anno saranno ottanta.
6 commenti su “Perché trasmettersi bene significa vendere bene”
Vi dedico tredici chili e mezzo di ringraziamenti per aver creato questo blog e per aver impiegato tempo prezioso per condividere le vostre esperienze professionali con tutti.
I tipi di BAO s’è meritato un posto tra i segnalibri del mio browser.
Ciao, apprezzo molto questo blog e ne approfitto per andare off topic con una richiesta. Mi piacerebbe un post sul lavoro di traduzione e su come viene affrontato in Bao, specie a livello di rapporti tra editore e traduttore. Io traduco manga da parecchi anni e sono a dir poco esasperata dalle misere condizioni di lavoro imposte dagli editori di settore. Sto cercando di ampliare lo sguardo e farmi un’idea di come funziona presso case editrici non prettamente rivolte al mercato giapponese, per capire se il loro modus operandi è differente (ad esempio: Bao stipula contratti di traduzione per i volumi, quando affidati all’esterno?).
Michele, so che hai lunga esperienza come traduttore quindi immagino l’argomento ti stia a cuore.
Grazie mille,
Federica
E’ tra gli argomenti previsti per un prossimo post, Federica, quindi contaci.
Salve,
Post molto interessate, specialmente sull’utilizzo delle tecniche di marketing.
Sono d’accordo con lei, la concorrenza di qualità è necessaria! Così come é necessario trasformare il lettore da entità passiva ad attiva.
Da stasera seguirò il suo blog molto attentamente 🙂
Davide
Questo blog è una delle novità più interessanti degli ultimi tempi.
Secondo me alcune case editrici non hanno instaurato un rapporto maturo e franco con il lettore: io, in particolare, ho vissuto così la vicenda di Bone. A detta dell’editore che deteneva i diritti prima di voi, i lettori italiani non avrebbero trovato appetibile il volume unico, così io e altri ci siamo ritenuti fortunati ad aver letto la conclusione della serie dopo l’infinita odissea editoriale.
La vostra edizione e il successo che ha riscosso mi hanno portato a pensare che forse le cose non stavano proprio così…
Sinceramente, da lettrice, preferirei che mi venisse detto apertamente “Vogliamo usare le nostre risorse per promuovere altri prodotti, questo fumetto non rientra nelle nostre priorità, quindi non lo pubblicheremo”: gli editori non fanno beneficenza ed è legittimo che investano i soldi come meglio credono, ma non vedo perché si debba fare mistero della linea editoriale scelta.
Continuate così!
Ma grazie!