Si dice “Pay attention” perché ascoltare costa fatica
- 19 Marzo 2018
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L’altro giorno guardavo The Disaster Artist, il film diretto da James Franco in cui lui stesso interpreta il ruolo di uno strambo personaggio reale del sottobosco hollywoodiano, Tommy Wiseau, che sulle prime vorrebbe fare l’attore, ma poi decide di realizzare da solo un film (spoiler: verrà così brutto da fare tutto il giro del quadrante di misurazione della bruttezza e assurgerà allo status di mito del cinema). A un certo punto Tommy è al ristorante e vede Judd Apatow, che probabilmente recita nel ruolo di se stesso e, riconoscendolo come un potente produttore, cerca di convincerlo a dargli lavoro. Prima che un uomo della sicurezza lo porti via dal ristorante, Apatow lo ferma e gli dice: “Tommy, anche tra quelli che hanno il talento di Marlon Brando, ce la fa uno su mille.”
La frase, offerta senza alcuna crudeltà, è tristemente vera, e dovrebbe far riflettere.
Oggi mi rivolgo a voi, aspiranti autori di fumetti.
Le probabilità vi sono leggermente meno avverse che se voleste sfondare nel cinema commerciale americano. Anzi, le probabilità vi sono così meno avverse che avete quasi facoltà di scelta. Questo tende a distrarvi da una cosa molto, molto importante che vi servirà per tutta la vostra carriera, sia per essere pubblicati che proprio perché sarete pubblicati: dovete imparare ad ascoltare.
Mi rendo conto che quando si desidera fortemente essere ascoltati, perché si sente di avere delle cose da dire, e che quelle cose sono importanti, non venga spontaneo fermarsi ad ascoltare ciò che dicono gli altri, ma dal momento in cui decidete di voler trovare un editore (e non è assolutamente necessario averne uno per fare fumetti, quindi è ovvio che sto parlando solo di questa specifica esigenza), è in assoluto la cosa più importante che voi possiate fare perché i vostri sforzi non siano una sequenza di colpi sparati a caso, in attesa che almeno uno di essi colpisca, anche di striscio, un bersaglio qualunque.
Credo che sia fondamentale distinguere due tipi di ascolto che sono vitali per chiunque voglia narrare a fumetti: l’ascolto intuitivo e l’ascolto deliberato.
L’ascolto intuitivo è quello che vi spinge a fare caso a come parla la gente in determinate situazioni, per migliorare la vostra capacità di scrivere dialoghi convincenti. Badate, convincenti, non per forza realistici: quando leggo i dialoghi dei libri di Flavia Biondi li trovo pervasi di una naturalezza disarmante, che mi fa tifare per loro a pelle, perché li trovo simili a me e alle persone che mi circondano. Quando invece leggo i dialoghi di Daniel Cuello mi rendo conto che sono frutto di un delicatissimo artificio: non sono per forza naturali, nessuno nel mondo reale parla esattamente come i personaggi di Daniel, ma l’insieme delle interazioni verbali nelle sue storie è profondamente convincente, somiglia alla realtà, come quando qualcuno riesce a imitare la cadenza e la fonetica di una lingua straniera pur non sapendola parlare, e inventa un gramelot che si capisce intuitivamente, pur non corrispondendo alla realtà di quella lingua.
L’ascolto intuitivo è anche quello che fa ascoltare in senso lato la realtà, con gli occhi, con il tatto, con la comprensione della luce e della prospettiva, e consente a chi disegna di restituirla al lettore in un modo mediato, personale, ma convincente. Pensate a Il suono del mondo a memoria: Giacomo Bevilacqua ha colorato tutte le scene appunto a memoria, a intuito, interessato più a rendere la luce di quella specifica stagione a Manhattan – che aveva vissuto in due precisi periodi della sua vita – che a non dare a nessuna parete un colore diverso da quello che ha nella realtà. È un autore, non Google Street View.
Ecco, questo è il tipo di ascolto che protegge e alimenta la visione artistica, che vi consente di capire che forma può prendere la storia che sentite interiormente di dover e voler raccontare.
Quando la storia comincia a prendere forma, e voi la esponete a chi vorreste che la pubblicasse, succede qualcosa cui vi disabituate nella fase di creazione: ricevete una reazione. In alcuni casi sarà una reazione di prammatica, formulaica, standardizzata. In questo caso fatevi una sola domanda: Questo editore fa così con tutti? Se avete motivo di credere che quando qualcosa gli interessa, quell’editore reagisca diversamente, è probabile che vi stia dicendo in modo eccessivamente diplomatico che non ha trovato convincente la vostra storia. Ci possono essere moltissimi motivi, alcuni dei quali non escludono che il vostro lavoro sia buono o molto buono, e sarebbe stato meglio se ve li avesse spiegati, ma non otterrete altro da quella persona: ha detto tutto ciò che voleva dirvi.
Se invece ottenete una reazione cautamente interessata, possibilista, ma chi vi risponde vi informa che ritiene che alcune cose andrebbero cambiate, dovete farvi una serie più lunga di domande:
– Questa persona ha a cuore la qualità di ciò che pubblica?
– Sta dimostrando rispetto per la mia visione artistica, per la mia idea?
– Vuole collaborare in modo costruttivo a rendere la mia idea migliore?
– Sono disposto ad ascoltare i suggerimenti e a rimettere mano alla mia idea?
Se la risposta a una qualunque di queste domande è “no”, dovreste domandarvi seriamente se sia il caso di augurarvi che alla fine della discussione quell’editore decida di pubblicarvi. Potrebbe non essere la cosa migliore per voi, soprattutto se siete alla prima pubblicazione. È vero che al primo libro si perdonano molte ingenuità a un autore, soprattutto se il lavoro appare promettente, ma è anche vero che in questi tempi di iperstimolazione mediatica, molto spesso si ha diritto a un solo colpo, ed è bene farlo contare. Dovete essere disposti a perfezionare il vostro lavoro e avete bisogno di interlocutori che sappiano farvi splendere.
Ho già detto, in precedenza, su questo blog, che una caratteristica peculiare del fumetto è che l’editing avviene al novanta percento a monte del lavoro dell’autore: è bene che tutti i dubbi sugli snodi narrativi siano chiariti prima di iniziare a disegnare le tavole definitive, per fare in modo che se l’autore dovrà gettare e rifare delle pagine sia per suo desiderio, non perché qualcosa nella storia non funziona in modo grave ed è necessario intervenire in extremis. Questo significa che un buon editor vi indicherà elementi da sviluppare, da spiegare meglio, o che secondo lui andrebbero eliminati dalla vostra storia subito, partendo dal soggetto, chiedendovi spesso, ripetutamente, se quelle modifiche inficino la vostra visione di insieme, perché il suo compito è prevenire disastri e poi levarsi di mezzo, per lasciare che voi vi esprimiate nella massima libertà, sentendo di avere qualcuno che vi aspetta al vostro angolo del ring con l’asciugamano, ma senza cercare di dirvi ogni due secondi che colpi dovreste sferrare.
Qui a voi autori si chiede la duplice capacità di capire quando un editor si sta allargando troppo, e sta cercando di scrivere la storia al posto vostro (cosa che può anche andarvi bene, ma in genere suscita un legittimo fastidio; nella mia esperienza, questo fenomeno succede molto meno di quante volte si pensi che stia succedendo) e quella di scrivere un soggetto chiaro, a voi e a chi lo leggerà, perché il testo che racconta come intendete snodare la vostra storia è la base comune di discussione sulla quale l’editor vi aiuterà a costruire la struttura completa del vostro racconto.
Le domande “difensive” che vi dovete porre quando qualcuno vi chiede modifiche a una storia fanno parte dell’ascolto deliberato, la capacità cioè di scegliere di accogliere critiche e suggerimenti, filtrando quelli utili da quelli che sono lesivi della vostra visione artistica, e di metterli in atto per migliorare qualcosa che, spesso, avete scritto voi, letto solo voi e che a un’analisi esterna rivela delle vulnerabilità.
Arrivato a questo punto del mio scritto, mi sento in dovere di dirvi che ci sono tre tipi principali di reazione alla richiesta di chiarimenti o modifiche su un soggetto, ovvero:
“Non se ne parla nemmeno, la mia arte non si tocca, il libro è così, prendere o lasciare.”
Nella Casa editrice in cui lavoro io, questo vuol dire quasi invariabilmente “lasciare”. Non importa se siete esordienti o autori famosi. Pubblicare un libro è una corresponsabilità tra chi lo realizza e chi lo rende pubblico. Entrambe le parti devono avere voce in capitolo. Le eccezioni sono pochissime, e vengono fatte per autori di cui già ci fidiamo.
“Certo, come no, tutto quello che volete, a me basta pubblicare con voi.”
E questi sono gli autori che mi fanno paura, perché credono che un editore sia un erogatore di servizi, che vende i libri in virtù del proprio marchio e di non meglio specificati poteri magici. Come ho spiegato nel post precedente, non è decisamente così che funzionalo le cose.
Infine: “Be’, parliamone. Ci sono cose che si possono cambiare, e altre che non si toccano. Credo che avere i consigli di una realtà che stimo e rispetto sia qualcosa che mi può fare solo bene.”
Inutile dirvi che è la risposta che preferisco, perché mi mette voglia di trovare soluzioni perfette per quell’autore, per quella storia, per quel libro. Mi fa diventare un sarto che confeziona qualcosa su misura per un corpo che già esiste, cui posso chiedere di stare più dritto o di lasciarsi vestire in un modo o in un altro, ma che non posso e non voglio cambiare più di tanto.
Sentite, io il mestiere me lo sono dovuto inventare, non c’era un manuale per evitare gli ostacoli. Il mio percorso professionale è stato assurdamente tortuoso, e se avessi avuto qualche buon consiglio in più sono certo che lo avrei ascoltato, forse con l’eccezione di “Datti all’ippica”, perché sono testardo e voglio capire realmente quanto valgo. Un editore che vuole lavorare con voi a una storia è un segno che ciò che fate può avere rilevanza. La storia prima di uscire dal vostro studio è un oggetto incartato ermeticamente, sottovuoto. Aprendo l’involucro comincerà a invecchiare, a ossidarsi, a sviluppare una patina. È la vita. È una cosa bella. Un giorno sarete su un treno e sentirete per caso qualcuno parlare di quel vostro libro in termini che non avevate mai preso in considerazione, e vi sorprenderete a essere d’accordo. Quel giorno capirete che un’opera, quando lascia le mani dell’autore, comincia a vivere di vita propria. Perché quella vita sia lunga e significativa, perché quel libro diventi parte della vita di tante persone, c’è bisogno di lavorare sodo, e di confrontarsi con un interlocutore intelligente e capace di dirvi che effetto fanno da fuori le vostre scelte narrative. Se volete realizzare senza interferenze opere che poi gli altri dovranno guardare senza potervi intervenire, cominciate a dipingere quadri e trovatevi un gallerista. È forse il solo medium visivo che non ha mai bisogno di supervisione esterna. Se volete raccontare storie a fumetti, smettete di cercarvi semplicemente un editore e cominciate a cercarvi un buon editor. Ma prima, assicuratevi di essere pronti ad ascoltarlo.
Nel prossimo post, vi regalerò un infallibile strumento per capire se il contratto che vi viene proposto è una fregatura kafkiana o se lo potete accettare serenamente. Mi dicono che potrebbe essere utile.
michele.
4 commenti su “Si dice “Pay attention” perché ascoltare costa fatica”
Grazie mille 🙂
Grazie Michele,
da quanto mi sembra di capire a un certo punto del tuo articolo, un autore dovrebbe presentare all’ editore (facciamo finta: a te!) uno script, un soggetto, PRIMA di mettersi a disegnare. Tuttavia, nel caso di un libro a fumetti, una bella storia può essere massacrata da brutti disegni e viceversa. Ho capito male? Com’è dunque l’iter?
Questo è un discorso ulteriore e successivo. Un disegno che per certi tipi di fumetto può risultare inadeguato magari funziona benissimo con altri tipi di storia. Però si deve sempre partire dalla storia, ed è a quella che mi riferivo nel post. Hai perfettamente ragione: meglio leggere un soggetto senza disegni che vedere tavole senza un concetto, anche se ovviamente leggere il soggetto E vedere qualche tavola di prova per noi è ideale. Lo indichiamo anche nelle linee guida per le submission. Guarda la sezione “parla con noi” di questo sito!
Grazie, lo farò!