Sulla dignità mediatica del fumetto
- 20 Giugno 2014
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Una delle battaglie quotidiane che ci troviamo a combattere in BAO è quella contro la diffidenza nei confronti del fumetto che c’è nel nostro paese. Prima di dare la stura a un coro di invettive contro la “barbarie culturale” dell’Italia, ci tengo a precisare che il problema esiste in tutti i paesi del mondo. In Giappone come in Francia, negli Stati Uniti come nel resto d’Europa, non importa quanto florido sia il mercato, quanto radicata nelle persone l’abitudine di scegliere tra prosa, illustrazione e fumetto: quest’ultimo è comunque tenuto a debita distanza da quella che è considerata la cultura “alta”. Basti pensare cosa è successo quando un fumetto ha vinto il premio Pulitzer (Maus) o è stato nominato per lo Hugo. Apriti cielo.
In Italia l’ipocrisia del rifiuto del fumetto come mezzo narrativo “degno” è però duplice: da un lato siamo un popolo di lettori pigri e distratti, poco curiosi, spesso incapaci di cercare stimoli diversi da quelli cui siamo abituati, dall’altro proteggiamo la nostra cultura “alta” (della quale però all’atto pratico ci disinteressiamo) indignandoci se essa viene minacciata dalla contaminazione di linguaggi che reputiamo inferiori. Quindi, per l’assioma (sbagliato) che vuole la prosa superiore a qualunque ricorso narrativo all’immagine, nelle biblioteche c’è Fabio Volo, ma non Hugo Pratt.
La ragione di questa diffidenza nasce dal fatto che il fumetto è diventato importante nella cultura di massa italiana negli anni del Boom, quando editori come Bonelli e Astorina fornivano intrattenimento di facile fruizione a individui spesso di scarsa scolarizzazione. Due generazioni dopo, i giovani genitori faticano a contemplare l’idea di far leggere ai propri figli un fumetto, che probabilmente associano ai nonni che non hanno finito le scuole dell’obbligo. Quanto ai libri che comprano per loro stessi, a meno di essere cresciuti a contatto con le controculture o le culture di nicchia (Dio ci conservi gli hipster), anche loro pensano che avere in mano un Moccia sia comunque meno infamante che avere in mano un Tex.
Come si cambia questa cultura?
In primis lavorando serenamente sull’educazione al fumetto dei bambini, che sarà oggetto di un post la settimana prossima. È però anche importante che gli adulti sentano parlare di queste storie, di questi libri, in ambiti socialmente accettabili, per comprendere che non c’è nulla di cui vergognarsi. Siamo riusciti a sdoganare la masturbazione, perché non dovremmo riuscirci con i fumetti?
Fondamentale, in questo senso, è il lavoro dell’ufficio stampa, una figura divenuta imprescindibile per fare diffusione della cultura e della produzione culturale in Italia. È anche uno dei mestieri che più si tende a credere di poter improvvisare, ecco perché ve lo faccio raccontare dalle mie due infallibili addette stampa ed eventi, la mia socia Caterina e Daniela Odri Mazza, la cosa migliore mai venuta da Latina dopo Tiziano Ferro (anche, ma non solo, per la sua crescente collezione di pony in ufficio).
Ciao, ho appena deciso di annunciare un nuovo volume a fumetti. Voi cosa fate, per assicurarvi che quando uscirà goda della giusta attenzione mediatica? Raccontateci il vostro lavoro.
Caterina: Come ogni libro ha un suo pubblico, ogni libro ha il suo giornalista.
In BAO quando scegliamo di pubblicare un libro abbiamo già un’idea di come comunicarlo, di quali sono i punti forti su cui potremo fare leva quando Daniela e io andremo a proporlo ai giornalisti con cui ci rapportiamo. Prima che arrivasse Daniela, la mole di lavoro era tale che un po’ mi limitava nella parte più “creativa”. Ora possiamo pensare a soluzioni più originali per proporre un libro particolare. Per La gigantesca barba malvagia abbiamo ordinato delle barbe finte per farne un oggetto promozionale. Tra poco arriveranno anche i palloni da spiaggia, ma è ancora un progetto top-secret!
Daniela: Il lavoro di promozione di un libro inizia molti mesi prima della pubblicazione effettiva del volume, e necessita ogni volta di una pianificazione personalizzata. Anche se esistono delle buone prassi all’interno della casa editrice che si ripetono per ogni uscita, bisogna sempre ragionare su come parlare nel modo giusto al target giusto.
Il primo passo, sembra scontato ma – ti assicuro – non lo è, consiste nel leggere il libro. Quindi si passa alla scelta dei materiali con cui presentare il volume ai media. Il primo strumento che utilizziamo è il comunicato stampa, insieme alla copertina e, visto che parliamo di fumetto, alcune tavole scelte, quelle che riescono a trasmettere l’anima del libro con un solo sguardo.
Sono poi apprezzati i booktrailer, le foto degli autori, gli extra inediti…può capitare di inventarsi un gadget, una campagna viral sui social network, un evento…la migliore ricetta è quella che riesce a declinare le informazioni su più canali possibili.
Nello stesso tempo si individuano gli interlocutori più adatti per quella campagna (giornalisti, opinion leader), ragionando sulle azioni da intraprendere, sui tempi da rispettare (importantissimo!), e sugli obiettivi che vogliamo raggiungere. Meglio pianifichiamo, meglio riusciamo ad assicurarci la copertura nei media desiderata, monitorando e aggiustando il tiro delle nostre azioni a seconda dei risultati intermedi.
La campagna migliore è sempre quella che ti fa raggiungere nuovi lettori.
Come si fa a motivare un giornalista a parlare di un fumetto?
Caterina: Bisogna aver la capacità di capire qual è l’elemento del libro che saprà incuriosire il giornalista. Può essere il nome dell’autore, l’argomento del libro che si sposa con l’attualità, un personaggio noto che è innamorato di quella storia… Un lavoro vero di Alberto Madrigal è un ottimo esempio: il tema dei ragazzi che vanno all’estero per lavoro è assolutamente attuale, avere come appiglio un argomento così forte di ha aiutato nel farne parlare molto dalla temutissima stampa generalista.
Il nostro compito è trasmettere l’entusiasmo che abbiamo per un libro a un’altra persona. La cosa bella è che sappiamo già che stiamo parlando di belle storie, l’unica cosa è trovare il modo di portarla sotto gli occhi di chi deve parlarne.
Daniela: Devo dire che ci troviamo in un momento storico in cui i media riservano una certa benevolenza al fumetto, e non disdegnano parlare di graphic novel. Partiamo poi dal presupposto che esistono giornalisti esperti di fumetto e giornalisti generalisti.
Con il giornalista esperto la motivazione va ricercata nella qualità intrinseca del prodotto, ovviamente tenendo presente i gusti e le preferenze dell’interlocutore (detto in parole semplici: ad un esperto di BD francese difficilmente proporrò l’ultima serie di supereroi americani e viceversa). Per questo trovo che sia – se non necessario – quantomeno auspicabile per un ufficio stampa specializzato avere una buona cultura del settore, non solo di quello che fa l’editore con cui lavori ma di tutto quello che succede intorno (questo non vale solo per i fumetti, ma per qualunque campo specifico).
Con il giornalista generalista invece la motivazione funziona nel fare leva su tutto quello che può essere legato all’attualità. In questo caso l’ufficio stampa individua tutte le possibili chiavi di lettura del libro e tutti i possibili “agganci” con la quotidianità (ricorrenze, festività, mode, tendenze, personaggi famosi, ecc.) in modo da fornire gli elementi necessari a far capire da subito che l’uscita del volume rispetta il requisito richiesto da ogni giornalista che decide di dedicarti due minuti del suo tempo: la notiziabilità.
In questo senso le prime righe di un comunicato stampa, anzi l’oggetto della mail che contiene quel comunicato, sono quelle che possono effettivamente decidere le sorti di un libro. Meglio pensarci bene, prima di scriverle.
Quali sono le “prede” mediatiche più ambite, i desiderata, e come vi rapportate con loro?
Daniela: Sicuramente nel nostro Paese il medium che raggiunge il pubblico più vasto è quello televisivo. Gli spazi culturali dedicati ai libri (figuriamoci poi ai fumetti) sono pochissimi e la concorrenza altissima.
Le radio, specie nei canali nazionali, offrono spesso degli spazi di intrattenimento di alta qualità dedicati alla lettura, seguitissimi dagli ascoltatori e anch’essi molto ambiti. Lo stesso vale per le pagine culturali dei quotidiani nazionali.
Mensili, settimanali, inserti dei quotidiani sono poi il nostro territorio privilegiato per l’approfondimento, le interviste e le recensioni, anche se la crisi ha decimato il numero le testate in edicola, e la situazione e tra cambi di direttori e redazioni la situazione è in continuo mutamento, con conseguenti cambiamenti nelle linee editoriali.
E poi c’è tutto quello che è online: testate registrate, siti specializzati, blog, social network…un mondo in cui ci si orienta a suon di click e visualizzazioni, un territorio tutto da esplorare che può riservare anche delle sorprese.
C’è ancora difficoltà ad accettare il fumetto come un argomento valido per le sezioni culturali degli organi di informazione e intrattenimento?
Daniela: Come dicevo prima la sensazione è di una discreta benevolenza generale, tuttavia mi è successo di sentirmi rispondere che il direttore o il caporedattore di questa o quella testata preferivano evitare di parlarne. In questo senso secondo me occorre un’azione costante di sensibilizzazione e valorizzazione delle opere a fumetti, in modo da lavorare sempre meglio con gli spazi predisposti e vincere le resistenze di quelli diffidenti.
Cosa distingue un buon ufficio stampa da uno un po’ abborracciato?
Caterina: Un buon ufficio stampa sa sempre cosa mandare a chi. Questo importante super potere, che si acquisisce solo con il tempo, ti aiuta a non stressare chi magari non parlerebbe mai di un fumetto di fantascienza (perché la mamma è stata rapita dagli alieni) con tremila e-mail tutte uguali.
Daniela: La professionalità e l’esperienza.
Un consiglio per chi volesse intraprendere questa professione, non necessariamente nell’ambito del fumetto?
Caterina: Essere gentili. E soprattutto appropriati. Fare l’ufficio stampa riporterà in auge tutti gli insegnamenti di quando tua mamma ti spiegava che era meglio dire “non è il mio genere” piuttosto che “mi fa schifo”.
Poi ci vuole un sacco di pazienza, ci sono un tantissime cose che si imparano con il tempo. Se vado a rileggermi un vecchio comunicato di tre anni fa mi metto le mani nei capelli. È un percorso che richiede esperienza e bisogna imparare il metodo giusto di comunicare i libri e gli autori. Da fuori può sembrare un mestiere che ci si inventa da un giorno all’altro, in realtà bisogna impegnarsi e imparare da chi lo fa già da anni.
Ovviamente è vitale compilare la propria agenda, nessun contatto è inutile basta saperlo “utilizzare” nel momento giusto.
Daniela: Il mio consiglio è di iniziare mettendo insieme tre elementi fondamentali: buona educazione, buon senso e buona volontà.
Un commento su “Sulla dignità mediatica del fumetto”
Grazie mille per aver dedicato un po’ di spazio anche a quest’argomento. Illuminante come al solito. 😀