Visto, si stampi!
- 6 Maggio 2014
- 11 Commenti
Quando conosco un nuovo autore, il cui lavoro mi piace particolarmente, sono sempre sollevato quando scopro che è una bella persona. Perché se invece si rivelasse uno stronzo so che dovrei farmelo piacere ugualmente, ed è una cosa che mi costa immensa fatica.
C’è una figura professionale che invece mi deve piacere proprio, che deve diventare i miei occhi e la mia sensibilità quando un progetto sta per passare dal mondo delle idee a quello della fisicità, quando un libro diventa un volume. Si tratta del tipografo. In realtà l’esatta esistenza del tipografo come lo intendo io è dubbia come lo è quella di Shakespeare o di Omero: si trattava di una persona sola, o di un collettivo di autori? Così è per il tipografo, nella cui figura si riassumono l’uomo che ti fa il preventivo e studia con te le esigenze del supporto di stampa, della rilegatura, della confezione, e i tecnici che risolveranno materialmente le problematiche, restituendoti un libro che deve somigliare il più possibile all’idea che ne avevi quando l’hai progettato.
BAO utilizza principalmente tre tipografie: una si trova a Chivasso, in provincia di Torino, una in Cina e una in un luogo davvero lontano ed esotico, la bassa bergamasca. Il mix di fornitori si rende necessario perché non solo i libri hanno diversi costi a seconda delle loro caratteristiche, ma anche i diversi tipografi hanno diversi costi di avviamento a seconda delle macchine che usano, della dimensione dello stabilimento e di altre caratteristiche intrinseche dell’azienda.
Nel caso del tipografo di Chivasso, uno dei titolari è negli anni diventato anche un amico e una piccola leggenda nel campo del fumetto italiano. Gli ho rivolto qualche domanda per voi.
Vi presento Francesco Bosco, di Aquattro Servizi Grafici.
Da quanti anni esiste la tua azienda e da quanti stampate fumetti?
La tipografia è nata verso la fine degli anni ’80, sotto forma di cooperativa (si usava molto, in quel periodo…) e già nei primi anni ’90 cominciavamo a stampare fumetti per la divisione editoriale di una azienda Torinese. Da quel momento in avanti, tutto è cambiato.
A quante unità ammonta attualmente il personale della tua azienda?
In tutto siamo dieci persone. Due in amministrazione, tre al reparto grafico, tre in stampa e due tra magazzino e organizzazione reparto produttivo.
In percentuale, quanto del vostro fatturato annuo è dato dalla stampa di fumetti?
Più o meno il 50%, una percentuale che aumenta di anno in anno, per fortuna!
Ci menzioni i titoli più significativi per il grande pubblico che avete stampato negli ultimi cinque anni?
Per nostra soddisfazione devo dire che sono stati molti. Vediamo… Comincio con la vostra “concorrenza” semplicemente perché ho iniziato prima a stampare per loro, e cito la serie completa di Torpedo, di Abulí e Bernet, Tre Ombre di Cyril Pedrosa, Il Corvo di James O’Barr, Le prime tre raccolte di A Panda Piace di Giacomo Bevilacqua, Tex, L’uomo di Atlanta di Nizzi e Bernet e L’Eternauta, che ha avuto un enorme successo e che abbiamo ristampato ben quattro volte. Poi molti manga di alto livello, tipo le serie di Go Nagai, Billy Bat, I am a Hero, ecc. Per Bao Publishing sicuramente Bone di Jeff Smith, Tutti i libri di Terry Moore (da Strangers in paradise, a Echo alla serie in corso Rachel Rising), Saga di Vaughan e Staples, Zot! di Scott McCloud, Last man di Vivès & C., e poi tutti i volumi di un autore ai più sconosciuto, ma che a noi sta particolarmente a cuore, un certo Zerocalcare. Devo anche dire che io personalmente sono molto legato a due titoli: uno è Sailor Twain, l’altro è I kill giants. Diciamo che tutti e due hanno dato una svolta professionale, decisamente positiva, alla tipografia. Con piacere aggiungo che ad ogni Lucca Comics da quando abbiamo iniziato a stampare fumetti abbiamo vinto, se così si può dire, qualche premio. Vorrà pure dire qualcosa…
Quali sono i costi fissi della tua attività che rischiano di incidere in modo pericoloso sul tuo bilancio quando c’è meno lavoro?
L’energia elettrica, sicuramente. Le macchine non possono stare ferme a lungo, pena il loro decadimento strutturale. Devono avere una regolare manutenzione, e questo comporta l’uso di energia elettrica, di prodotti e di manodopera, che è l’altro costo fisso importante che non ha argine se non supportato dall’ingresso di lavoro. È brutto da dirsi, lo so, ma quando non c’è lavoro i dipendenti sono comunque e giustamente da pagare. Questo incide sul bilancio in modo pesante. Fortunatamente fino ad ora non abbiamo avuto problemi, da questo punto di vista.
In che modo interagire con un editore di fumetti, nella tua esperienza, è diverso dal rapporto con un editore di narrativa o saggistica e quali sono le figure chiave, nel tuo organico, per gestire il rapporto con il cliente-editore?
Dunque, il rapporto di lavoro tra editore e tipografo dipende molto dal tipo di persona con la quale si ha a che fare. Sembra banale, ma non lo è. Se l’editore è restio ai suggerimenti, se vuole avere il controllo assoluto su tutto e se ha un’idea molto precisa di quel che vuole e non accetta cambiamenti, la strada è tracciata. Si fa quel che dice lui. Il problema sorge quando il risultato non è all’altezza delle sue aspettative… A questo proposito devo dire che l’editore di fumetti è molto più aperto a suggerimenti e proposte che non l’editore di narrativa, con le dovute eccezioni da entrambi i lati, ovviamente.
Sicuramente perché il prodotto finito “fumetto” è molto più “visivo” rispetto al libro classico. È giocoforza quindi che chi pubblica fumetti abbia molto più a cuore l’aspetto estetico finale, risultando più sensibile ai suggerimenti del tipografo. In questo caso la figura di intermediazione deve essere in grado di capire il progetto dell’editore, ma anche dell’artista, e suggerire di conseguenza la soluzione migliore per far rendere al massimo il fumetto su carta stampata. Che carta è meglio usare per far rendere bene le sfumature di grigio? E il nero deve essere pieno e intenso o più chiaro? La quadricromia rende bene su carta uso mano o è meglio stampare su patinata? Tutte domande tecniche o estetiche alle quali il tipografo deve saper rispondere. Se si instaura un buon rapporto biunivoco di fiducia tra editore e tipografo, la maggior parte del lavoro è fatta.
In cosa ritieni la tua azienda competitiva rispetto all’agguerritissima concorrenza, anche considerando che lavori in una regione storicamente ricca di tipografie?
Senza cadere nella trappola dell’autocompiacimento, dico solo che proprio il fatto di operare in una regione dalle forti tradizioni tipografiche è uno stimolo per cercare di lavorare sempre al massimo. Qualitativamente e propositivamente.
Ovvio che la concorrenza, sul fronte dei prezzi, è sempre un pericolo. Qui in A4 si è però consapevoli che la grande professionalità, la lunga esperienza nel campo della stampa di fumetti e la alta qualità dei nostri prodotti siano caratteristiche di sicuro vantaggio rispetto ai nostri concorrenti, comunque bravi, non c’è che dire.
Infine, ma non per importanza, la passione (sfrenata, nel mio caso…) per il mondo del fumetto. Se metti passione in quello che fai, se capisci che un lavoro non sarà mai uguale a un altro, allora sei sulla strada giusta.
In cosa state investendo maggiormente, per restare al passo con i tempi e sempre un passo avanti alla suddetta concorrenza?
Innovazione tecnologica e ricerca dei materiali su tutto, ma l’occhio al passato e alla tradizione non possono mancare. Senza storia non c’è futuro e questo vale nella vita come nel campo professionale. Un tipografo deve sapere che quello che si fa adesso, qualche anno fa lo si faceva in modo diverso. Perché qualche tecnica “vecchio stile” ogni tanto salva il lavoro… Poi la formazione professionale degli addetti, l’interazione stretta con i fornitori per l’uso dei materiali, la ricerca di soluzioni alternative.
Per tornare alla questione energetica, abbiamo investito molto sulla “green economy”, installando 20 Kw di pannelli fotovoltaici, e certificandoci per produrre stampati FSC® e a compensazione totale di CO2. Per noi è fondamentale continuare a crescere nel rispetto dell’ambiente. Sono ormai molti anni che abbiamo fatto scelte aziendali che vanno in questa direzione, e ne siamo orgogliosi! Questa è una differenza rispetto ad altri non da poco, ne siamo convinti.
Questa chiacchierata con Cek mi ha fatto tornare in mente la lavorazione di Sailor Twain, un caso esemplare del motivo per cui la relazione con il tipografo deve essere fortemente sinergica con il pensiero dell’editore.
Il libro di Mark Siegel era molto importante per noi. Perché lo abbiamo amato fin da subito e perché Mark è un caro amico, oltre che il direttore editoriale della First Second, una delle Case editrici con le quali abbiamo più sintonia di catalogo. Volevamo che il nostro libro fosse bello quanto l’edizione americana e quanto più possibile simile a essa. Non avevamo pensato però che la carta scelta per quell’edizione non era particolarmente adatta alla stampa di immagini: era sottile, avoriata e con una porosità molto specifica. Il disegno di Mark invece è a carboncino, quindi con una retinatura molto variabile e sfumature di grigio difficili da rendere su qualunque supporto. Su una patinata avremmo avuto immediato controllo, ma su una uso mano come quella era davvero difficile bilanciare la retinatura lieve e vaporosa di certe pagine con i grigi profondi, quasi neri, di altre.
Ero presente all’avvio di stampa, un po’ perché ero preoccupato da quel problema e un po’ perché volevo portare in ufficio un foglio-macchina intonso da spedire a Mark per fargli vedere che mi ero interessato personalmente alla resa del suo libro. Arrivato davanti alla Heidelberg di Aquattro ho subito capito che c’era nervosismo, che Paolo, il tecnico di macchina, non era soddisfatto dei fogli che stavano uscendo per le prove.
Siamo rimasti lì a rimuginarci almeno un’ora. Poi Paolo ha avuto un’illuminazione ed è sparito dietro alla macchina. Vorrei dirvi che si è sentito il rumore come di un enorme turacciolo stappato, ma mentirei. Fatto sta che neanche cento fogli stampati più tardi il sedicesimo di prova era perfetto: grigi profondi e con contorni precisissimi nelle zone più scure e una retinatura nitida, morbida, precisa, nelle zone più sfumate. Perfinio Cek ha chiesto che cosa fosse cambiato, e Paolo ha detto: “L’inchiostro”. Quello che aveva cominciato a usare era questo:
Una pozione inventata decenni fa da un fabbricante di inchiostri per soddisfare le molto specifiche esigenze di stampa della Bonelli. Perfetto controllo dei neri su una carta molto porosa, per l’appunto. Il libro è venuto perfetto, bello come quello americano*, e Mark ne è stato molto contento, come noi.
Non sarebbe stato possibile, se non avessimo avuto un tipografo creativo, intelligente e capace di parlare con noi per capire le nostre esigenze.
Forse anche per questo, dopo l’editor, ho voluto parlare di questa figura prima ancora di quella, assolutamente essenziale, del grafico. Ma a questo rimedieremo la settimana prossima.
* In realtà la nostra edizione è un po’ più bella, perché ha una sorpresa che nell’originale non c’è. Se sbucciate via la sovraccoperta la vedrete.
11 commenti su “Visto, si stampi!”
sono una ragazza molto appassionata di stampa stò studiando tipografia al museo della stampa di lodi mi piace anche la litografia e la stampa in rotativa il vostro articolo è molto bello e aggiungo che la stampa non è un lavoro comune ma la devi sentire nel profondo del cuore spero che la vostra azienda prosperi e possa stampare per sempre!!
Grazie! Ti assicuro che la passione non manca… sul fatto che la stampa non sia un lavoro comune non posso che darti ragione. Del resto, ogni lavoro artigianale ha nel suo essere l’amore per quel che si fa, non trovi?
mi chiamo Claudia ho 30 anni e lavoro da circa 10 anni in una tipografia, svolgo il lavoro più bello del modo… sono un grafico pubblicitario, lavorare in una tipografia è forse il connubio perfetto per chi ama sbizzarrirsi con la fantasia ma anche andare sul concreto vedendo il lavoro finito. Leggere parole come uso mano in un articolo sa quasi di casa 🙂 spero che il mercato riprenda e che il lavoro ritorni a fiorire come un tempo 🙂 bellissimo articolo complimenti… a tutti una buona serata.
Ciao Claudia e grazie. Sapere che ci sono persone giovani come te che amano il proprio lavoro fa bene al cuore. Buona serata anche a te e in bocca al lupo per tutto!
Ciao, qual’è il motivo di stampare in Cina? È talmente tanto economico, considerando i costi di trasporto intercontinentale? Personalmente, quando mi sono trovato tra le mani La principessa Rose stampata in Cina, mi sono guardato da altri acquisti con tale tipo di stampa.
Il motivo è che con tirature piccole come quelle del fumetto in Italia certe lavorazioni costano troppo se realizzate nel nostro paese. L’azienda con cui lavoriamo è a partecipazione italiana ed è stata scelta molto accuratamente. Non comprendo, davvero, il motivo di questa riserva. Spero che vorrai valutare i libri per la loro qualità intrinseca, non per il luogo dove vengono stampati, sinceramente.
Ciao Michele, grazie per la risposta. Il motivo della mia riserva non è ovviamente in termini assoluti, ma in una valutazione complessiva del libro da acquistare, che per me vuol dire tenere conto dell’autore, disegnatore, recensioni ed anche la stampa, nella sua qualità e nel suo made in Italy. Sono consapevole delle scelte aziendali sottostanti, ma come cliente parametro le mie scelte considerando tutta una serie di elementi. Del resto hai scritto questo bel post coinvolgendo e valorizzando la passione e le maestranze locali. Ad ogni modo, spero che Come prima di Alfred sia stampato in Italia…. non vedo l’ora di leggerlo e non vorrei dover rivoluzionare i miei parametri di scelta 🙂
Ma La principessa Rose non è un prodotto made in Italy. E’ americano. Fai la stessa obiezione di coscienza anche per i vestiti che indossi e gli oggetti di uso quotidiano? Buona fortuna con il tuo PC Olivetti! 🙂 Come prima, comunque, è stampato a Bergamo. C’è chi dice che non sia in Italia.
Le mie riserve sull’acquisto di prodotti stampati in Cina non riguardano al qualità, ma l’etica. Perchè comprare un prodotto che viene da un paese che, detto in breve, non tutela il lavoro dipendente? Certo, forse a volte stampare in Cina può essere l’unica scelta che l’editore ha per proporre a costi ragionevoli un prodotto particolare. Ma la vale la pena supportare un sistema che opprime i diritti umani più elementari sul lavoro (vedi sul tubo i vari documentari su cosa e come le case editrici, spesso per bambini – quella con la D maiuscola – stampano in Cina)? Secondo me no, e quindi cerco sempre di non acquistare prodotti cinesi, solo per motivazioni etiche che per me sono più che sufficienti a farmi cambiare idea. Eventualmente, il discorso qualità è secondario.
Ma Questa è l’unica via? (e da qui il discorso si allarga e vale anche per altri campi oltre l’editoria) Non è che magari chi produce potrebbe decidere di guadagnare meno se proprio ci tiene a pubblicare qualcosa… invece di dire che in Cina si abbattono i costi, non si può mai provare ad abbattere i guadagni? (volutamente provocatorio)
…..
Francamente questo post mi ha sorpreso ed infastidito.
Sorpreso perché considero un blog come la casa dell’autore ed i lettori (anche quelli attivi nel confronto/animazione del blog) come ospiti di questa casa, a cui, dal mio punto di vista, va riconosciuto tutto il rispetto per l’attenzione dedicata ai temi trattati nel blog.
Infastidito perché una semplice curiosità (perché Bao stampa alcuni fumetti in Cina) e non una lamentela o critica distruttiva da parte di un cliente Bao abbia come effetto una risposta difensiva/aggressiva, che:
a. sposta arbitrariamente l’attenzione dall’oggetto del post (la stampa dei fumetti Bao – tema oggettivo e forse di qualche interesse) ad una assurda pretesa coerenza di filosofia di vita di un cliente Bao (tema soggettivo, anzi personale, sicuramente di alcun interesse) arrogandosi il diritto di giudicare o peggio ironizzare sulle sue ipotetiche scelte di acquisto (generali e non relative ai fumetti) senza avere alcuna minima cognizione e rispetto dell’interlocutore;
b. travisa la sostanza della questione e pretende di rappresentare in termini assolutistici un unico elemento messo sotto la lente di ingrandimento ed impropriamente ingigandito. (Non era forse sufficientemente chiaro che il riferimento al made in Italy era al solo elemento della stampa? Perché se si vuole parlare di fumetti made in Italy, non sarebbe più corretto forse darne una definizione rappresentativa, in modo da evitare fraintendimenti? Ma anche questo non era il tema del post ….)
Probabilmente ho sbagliato ad interpretare le finalità di questo blog, che ho apprezzato sin dal primo post (e forse fino a questa caduta di stile) ed a partecipare al confronto da te aperto…
Per estrema chiarezza, dal mio punto di vista, i termini della questione sono:
a. l’editore Bao fa le proprie scelte editoriali/aziendali considerando tutta una serie di elementi (qualità stampa e luogo di stampa compresa, valutato per i suoi aspetti di economicità)
b. il cliente Andrea fa le proprie scelte di acquisto considerando tutta una serie di elementi (qualità stampa e luogo di stampa compresa, valutato per aspetti differenti dalla economicità … non è forse interessante conoscere e valutare, per fare solo un esempio, l’impatto ambientale di un fumetto acquistato a Milano che arriva dall’Asia, quando si può scegliere di acquistarne uno che arriva … da Milano o Bergamo?)
Se i due interessi trovano un punto di contatto, ci sarà reciproca soddisfazione.
In mancanza, ognuno prosegue la sua strada: l’editore Bao con altri lettori, il cliente Andrea con altri editori.
Buona avventura editoriale
Quello che hai travisato è che davi per scontato che su questo blog ci sarebbe stato un confronto democratico e paritario tra me e voi. No. Qui è casa mia. Se questi sono i tuoi parametri di scelta, ne prendo atto. Non li rispetto, non li capisco, ma buona avventura nella vita. Ciao!