Evitando le buche più dure
- 29 Marzo 2018
- 16 Commenti
Diciamo che un editore vi vuole pubblicare. E vi manda la bozza di un contratto. Nella maggior parte dei casi non c’è nulla da temere, e non avrete bisogno nemmeno di chiedere piccole modifiche alla scrittura legale. È comunque il caso che capiate se è una proposta corretta o se state firmando via la vostra anima al diavolo, non vi pare?
Questo post non riguarda il caso in cui qualcuno vi ingaggi per una prestazione relativa a personaggi già esistenti. In quel caso il diritto d’autore non è vostro, e la contrattualistica è completamente diversa. La principale limitazione di quel tipo di contratto è che nella maggior parte dei casi voi percepite un compenso una tantum, mentre chi vi incarica potrà usare il vostro materiale in tutte le versioni, edizioni, modalità che desidera, senza dovervi compensare nuovamente.
A noi interessa il caso in cui un editore vi proponga di pubblicare un vostro libro, una proprietà intellettuale che è vostra.
In primis, se il contratto implica la cessione all’editore di quella proprietà intellettuale, il contratto non è valido né legale. In Italia il concetto di buy out non è contemplato, per le proprietà intellettuali.
Sarebbe bene che il contratto riguardasse solo i diritti di edizione (cartacea e digitale) e nessun diritto derivato (trasposizioni in altri media), per poter decidere, casomai ce ne fosse necessità, in libertà in un secondo momento.
In certi casi l’editore vi proporrà, nel contratto, una percentuale per sé nel caso in cui vendesse i diritti del vostro libro a un editore estero. Se quella percentuale è fino al 50% è equa: essendo il primo a investire nel vostro lavoro e dovendo investire ulteriormente per rappresentare il libro sui mercati esteri, ha diritto a una percentuale più alta di quella che chiederebbe un agente.
Se non è specificata la durata temporale del contratto, per la legge italiana questa diventa il massimo consentito per un contratto di edizione, ovvero venti anni.
Insistete perché siano indicati una data entro la quale di certo il libro sarà pubblicato, il prezzo di vendita minimo del libro (nel senso che può diventare più di quel prezzo, ma non meno) e la tiratura minima del libro (nel senso che può aumentare, ma non diminuire rispetto al numero specificato). In questo modo potete farvi un’idea di quanto potreste avere, economicamente, da quel contratto. [Se si stampano duemila copie di un libro da quindici euro e a voi spetta l’otto percento: 2000 x 15 x 8% = 2.400 euro.]
La compensazione economica all’autore deve avvenire in base a una percentuale del prezzo di vendita al pubblico, a partire dalla prima copia venduta. Se accettate un contratto in cui avrete la vostra percentuale “una volta recuperate le spese”, l’editore può inventarsi ogni tipo di spesa, oltre a quelle strettamente inerenti al libro, per non corrispondervi mai alcun compenso.
Una buona percentuale di partenza, quasi lo standard del settore, è l’otto percento del prezzo di copertina. Ma assicuratevi che il contratto contempli aumenti con l’aumentare delle vendite (per esempio: 8% fino a 5.000 copie vendute, 9% da 5.001 a 10.000, 10% oltre). Una volta l’anno, l’editore vi deve un report che dettagli le vendite che ha effettuato in tutti i canali e anche direttamente (sul proprio sito o alle fiere, per esempio).
La percentuale minima perché un contratto di questo tipo sia legalmente vincolante è il tre percento. Se vi offrono questa percentuale, è perché meno era illegale.
L’anticipo sulle vendite non è obbligatorio. Siete liberi di accettare un contratto che non lo contempli, ma tenete presente che non vedrete denaro per oltre un anno dall’uscita del vostro libro, in quel caso, perché la rendicontazione delle vendite fino a dicembre di un dato anno avviene entro la fine di marzo dell’anno seguente. Un anticipo sensato è un po’ meno di quanto prendereste se tutta la tiratura del libro venisse venduta. [Usando le cifre di prima, se a tiratura esaurita vi spetterebbero 2.400 euro, avrebbe senso che vi venisse proposto un anticipo di 1.600 euro circa.]
Le clausole che vi legano a un editore per un certo numero di libri dopo quello cui si riferisce il contratto sono prive di valore legale. Nella fattispecie: una scrittura del tipo
L’autore si impegna a presentare i suoi prossimi due progetti all’editore prima che a qualunque altro soggetto, ma l’editore ha facoltà di decidere di non pubblicarli
ha senso ed è vincolante, legalmente. Mentre le diciture che implicano una qualche “esclusiva” che leghi l’autore all’editore, se non sono corredate dalla dichiarazione che verrà versta una somma di denaro, svincolata dagli accordi sul libro cui si riferisce il contratto, per assicurare questa esclusività di rapporto, non sono valide.
Se viene indicata una data entro la quale dovete consegnare il lavoro finito, oltrepassata quella data se non lo avrete fatto il contratto può essere annullato. Ma se l’editore è al corrente del vostro ritardo e ha interesse a pubblicarvi comunque, non farà leva su quell’aspetto del contratto per risolvere il rapporto.
Se il contratto parla di penali da pagare in caso di ritardi, a meno che non sia indicata una cifra precisa è una minaccia a vuoto, senza effetto legale. Io, comunque, un contratto così non lo firmerei, se fossi in voi.
Ecco, l’ultima cosa che ho scritto era un’opinione personale, e sento il dovere di spiegarvela: è palese che un contratto per un’opera di proprietà dell’autore è un legame di collaborazione. L’autore investirà del tempo per realizzare il libro, l’editore mostra buona volontà corrispondendo un anticipo (che sono soldi a perdere – nel senso che non può essere restituito neanche se il libro vendesse zero copie – e soprattutto che non potranno essere recuperati fino al momento in cui il libro sarà messo in commercio, quindi non datelo per scontato; è un gesto importante, anche quando la cifra non è enorme) e fornendo assistenza all’autore durante la lavorazione. La transazione economica in questo tipo di contratto non è da considerarsi un compenso o uno stipendio, ma la prova della serietà dell’editore nei confronti dell’autore. Dal momento delle firme, inizia il lavoro vero. E l’editore non ha il diritto, moralmente, di stare a braccia conserte ad aspettare la consegna di un libro finito. Deve aiutare l’autore a realizzarlo al meglio (vedere il mio post precedente) e deve preparare le condizioni perché sia commercializzato in modo efficace. Allo stesso tempo l’autore ha il dovere di procedere a un buon ritmo, nonostante probabilmente debba fare anche altri lavori per vivere in quel lasso di tempo, e deve cercare di rispettare le tempistiche concordate con l’editore. Però qui non stiamo parlando di costruire una casa, o una pensilina per gli autobus, o un’aiuola. Non ci sono un committente e un artigiano che esegue i lavori. Il contratto serve a rassicurare entrambe le parti che la controparte è motivata a raggiungere lo scopo comune: fare il libro migliore, nel modo migliore, venderlo il più possibile e trarne entrambi profitto.
I contratti draconiani, dickensiani, che umiliano l’autore sono un’assurdità e dovrebbero farvi capire che piuttosto che pubblicare a quelle condizioni è meglio aspettare un’occasione migliore.
michele.
16 commenti su “Evitando le buche più dure”
Ho letto con piacere i consigli. La mia unica domanda, da aspirante autrice, e’: esistono casi in cui una casa editrice includa un anticipo sulle vendite per autori emergenti?
Luisa, noi per esempio diamo SEMPRE un anticipo anche agli esordienti. Per come la vedo io non è la fama dell’autore a dover determinare se l’anticipo c’è o meno. La ragione per cui è importante è proprio che rappresenta il grado di impegno che l’editore mette sul piatto quando l’autore deve iniziare a lavorare sul libro. Certo, spesso succede di sentirsi dire: hai un libro già pronto? Be’, allora ti propongo un anticipo molto basso (o nessun anticipo), tanto il lavoro lo hai già fatto. Non è la cosa più bella del mondo da dire, ma è un ragionamento che ha un suo senso. (Anche per questo noi non accettiamo quasi mai libri che arrivano già pronti: vogliamo impegnarci e vogliamo lavorarci INSIEME agli autori).
A quando un post sui compensi beceri ai traduttori?
Be’, lì è più facile capire se ti stanno fregando e direi che ciascuno può negoziare per sé. Non sarebbe di pubblica utilità e non è che poi aumenterebbero per aver detto che sono bassi. 🙂
“SE a tiratura esaurita vi SPETTEREBBERO”…aaaaaaaaaargh!
Guarda che è giusto. Sul serio.
E sui doveri reciproci di evidenza: pubblicità al libro, presenza nelle fiere, comunicati stampa, copie da inviare per recensione, cosa dici? Secondo te andrebbero contrattualizzati?
Le premesse di contratto implicano sempre che l’editore si impegni al massimo per assicurare successo al libro. E’ suo interesse. Non lo reputo necessario, sinceramente, perché non è fondante per il rapporto autore-editore, ma possono essere inclusi, certo.
“se” più condizionale è giusto? tipo “se sarebbe”? ok…
Se fosse così la frase, avresti ragione tu.
Se, da un canto, sarebbe giusto che ti fidassi, io comprenderei se tu non lo facessi.
(Spero che ora sia chiaro.)
Io vorrei solo ringraziarti.
Sono un’autrice che lavora in un ambito completamente diverso dal tuo (scolastica), ma tutto quello che scrivi è estremamente interessante anche per me, oltre ad essere vero. Il contratto è davvero la prova dell’impegno reciproco, ed è importantissima la relazione che da lì nasce e che si basa sulla fiducia.
E poi mi hai fatto venire un moto d’affetto per il mio editore perché tutti i ‘paletti’ che l’editore serio deve rispettare sono ampiamente rispettati. Lo sapevo già ma fa sempre piacere avere delle conferme.
Grazie ancora e continuate così!
Un abbraccio
Chiara
Grazie, davvero, per queste parole. Fiducia e comunicazione sono essenziali, nel nostro lavoro. Vanno meritate, così come le parole gentili. Continueremo a farlo!
Volevo rispondere anche io al commento qui sopra, riportando – come se servisse – prova certa circa la correttezza dell’espressione da lei usata. Ma poi ho letto la sua risposta sagace e divertente, e ovviamente non ho trovato altro da aggiungere (meno che mai a distanza di quattro mesi eheh).
Sono capitato in questo articolo per caso. Ricontrollavo lo stato di un ordine fatto giorni fa e nella home del sito ho visto questo articolo. L’ho letto e l’ho apprezzato tanto. Chiaro, semplice, cristallino, utile. Scritto da chi lavora non solo nel proprio interesse ma anche nell’interesse di chi ha di fronte. Non sono autore ma grafico editoriale (o almeno, aspiro ad esserlo). Tuttavia considero tutti quelli che lavorano in questo settore “colleghi” e mi interesso sempre alle loro situazioni. Attualmente impagino per una casa editrice palermitana e aspiro a collaborare con i grandi nomi dell’editoria italiana. Amo lo studio che vi è dietro l’arte dell’impaginazione, che si tratti di un’edizione illustrata o non. E cerco di riporre questo amore anche nel lavoro che svolgo, con dedizione e meticolosità. Ecco, in questo articolo ho trovato questa stessa passione e anche più. La casa editrice per cui lavoro non fa né libri illustrati né graphic novel, ma spero un domani di poter coniugare nel mio lavoro l’amore per l’impaginazione e la passione per il genere fumettistico. E dunque grazie, per l’utilità di quanto ha riportato e per il tempo dedicato a moderare questo mio lungo commento eheh
Ps. Poi come al mio solito, non mi sono mica limitato alla lettura dell’articolo. Na na. Ho cercato Michele Foschini sul web, scordo il profilo linkedin, letto qualche intervista e ho scoperto così – e mi scuso per l’ignoranza pur avendo tanti dei vostri albi – che trattasi del co-fondatore e direttore editoriale di Bao Pubblishing. Alla gratitudine aggiungo dunque l’onore. Un grande plauso a lei e Caterina Marietti (appena scoperta anche lei dalla suddetta ricerca eheh) per l’incredibile lavoro svolto in appena 10 anni di attività. Ad maiora.
Leggere questo articolo mi ha riempito il cuore di speranza. Grazie.
Ne sono lieto, grazie!