Parlare chiaro per conquistare la fiducia dei lettori
- 15 Febbraio 2017
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Quando abbiamo iniziato l’avventura di questa Casa editrice, oltre sette anni fa, c’erano una cosa che non sapevamo e una che sapevamo benissimo. Non sapevamo che non avremmo mai pubblicato cinque libri all’anno, come ci eravamo detti scrivendo i primi titoli che avremmo voluto tradurre sul retro dello scontrino di una birreria della Grand Place di Bruxelles; sapevamo però che la qualità che avevamo in mente per i nostri libri non sarebbe servita a nulla, se non fossimo stati in grado di farli arrivare tra le mani dei lettori. C’era dunque bisogno di raggiungerli, quei lettori, e c’era una sola cosa che potevamo dare loro senza costringerli a comprare nulla: qualità nell’informazione su ciò che facevamo.
Ci eravamo dati da subito alcune regole che, con il senno di poi, non sapevamo ancora che avrebbero influenzato profondamente il nostro modo di lavorare.
Non avremmo mai mandato newsletter. Volevamo rimanere sempre una fonte di informazione gradita e positiva, per i lettori, mentre sapevamo che dal momento in cui si riceve la prima newsletter, anche se ci si è iscritti volontariamente alla mailing list, la si considera spam.
Avremmo usato la pagina Facebook come organo di informazione principale. Da una parte c’era il rischio di dover ripetere certe informazioni più volte, ma per sapere qualcosa su noi o i nostri progetti i lettori sarebbero dovuti venire a cercarci, sulla pagina, e far compiere un’azione a un potenziale cliente è un primo passo verso un acquisto.
La crescita della nostra platea di pubblico sarebbe stata organica, non alterata da campagne promozionali. Avevamo letto che un negozio Ikea di Malmö, in Svezia, aveva chiesto ai fan della propria pagina di taggarsi sui mobili nelle foto che postava, e in cambio li avrebbero avuti in omaggio. Questo faceva apparire le foto della pagina aziendale sulle bacheche dei fan, costituendo di fatto un endorsement molto forte, e un’altra azione dal cliente verso l’azienda. Da sempre, regaliamo due copie di ogni nostro libro, quando arrivano in redazione le tirature, con questo sistema. È anche un ottimo modo per ricordare ai visitatori della pagina che la data di uscita dei libri che stanno aspettando si avvicina. Questa tecnica ci è stata copiata da un numero enorme di Case editrici, lo scrivo con il sorriso, visto che non era farina del nostro sacco, e con un certo orgoglio, perché per noi è stata una svolta comunicativa.
Il tone of voice delle nostre pagine social sarebbe stato amichevole, onesto e autorevole. Sulla pagina Facebook BAO si risponde alle domande dei visitatori dalle otto del mattino all’una di notte. L’account Instagram mostra anticipazioni di titoli in lavorazione, mentre con Twitter si informa su eventi, presentazioni, e si risponde ad altre domande dei lettori. Il tutto è gestito internamente, direttamente da noi, non da un’agenzia di comunicazione esterna.
La crescita da zero della nostra notorietà non è stata fulminea, proprio perché le nostre premesse si basavano su una lenta propagazione della reputazione che intendevamo costruire pubblicando libri di alta qualità. Diciamo che ci abbiamo messo un anno circa per essere pienamente soddisfatti della resa tecnica dei nostri volumi, e due per cominciare a sentire un trend preciso e identificabile nella crescita del consenso con il pubblico. Sono stati due anni nei quali abbiamo sperimentato sulla nostra pelle i sistemi di comunicazione e abbiamo imparato ad ascoltare il nostro pubblico per capire cosa volesse, anche se non lo abbiamo sempre accontentato.
Piano piano sono diventati importanti alcuni fattori che avevamo imposto fin dall’inizio.
La qualità dei materiali nei nostri libri, progettati senza compromessi, a costo di erodere i margini di profitto (al quarto anno abbiamo potuto iniziare a razionalizzare, studiando più attentamente il progetto economico di ogni libro, ma senza dover abbassare la qualità perché a quel punto erano cresciute le tirature, e potevamo strappare prezzi migliori ai fornitori senza scendere a compromessi sui materiali) ci stava facendo apprezzare dai lettori.
Lo zoccolo bianco con la testa del nostro logo, Cliff, in calce a ogni dorso dei nostri volumi, che avevo voluto perché sono miope come una talpa e volevo vedere dov’erano i nostri libri sugli scaffali delle librerie, stava diventando un punto di riferimento anche per tanti altri, magari meno miopi di me, e aggiungeva un valore collezionistico che ha reso “lo scaffale BAO” una delle foto in cui più spesso veniamo taggati su Instagram, per esempio.
La scelta dei titoli che pubblicavamo, suddivisi tra importazioni di pregio e “libri che non ti aspetti”, al punto che negli anni è nato il luogo comune “ho fatto un libro strano, mandiamolo alla BAO” che a volte rende molto strano il contenuto della casella di posta della redazione. Abbiamo sempre infuso nelle proposte di ogni anno editoriale una certa percentuale di progetti che sfuggivano alle definizioni di genere, senza alcuna certezza che avrebbero venduto bene, ma che contribuivano a rafforzare l’identità della nostra azienda pur nella necessaria eterogeneità di titoli che annunciavamo. Ecco, questa cosa è importante: vedevamo altre case editrici con cataloghi eterogenei, e non volevamo che il nostro potesse mai sembrare composto alla cieca, velleitariamente, senza pianificazione o un filo conduttore. Paradossalmente, il nostro elemento di coerenza negli anni sono stati i libri “strani”, non per forza coraggiosi, ma probabilmente incoscienti. A volte, imprevedibilmente, hanno anche venduto davvero bene. Sul perché, che è qualcosa di fondamentale e non scontato, ci torniamo tra poco.
Qual era lo scopo di questo meticoloso lavoro sulla percezione dall’esterno della nostra brand identity? Diventare un elemento ricorrente nella vita quotidiana delle persone che, potenzialmente, potevano diventare nostri lettori e arricchire l’esperienza di acquisto e lettura di chi già lo era.
Con il tempo, si è reso necessario farlo anche usando mezzi esterni, e questo ci ha portati a fare una considerazione: il lavoro sulla stampa e sui media è importante, ma è altrettanto vitale far parte del panorama mentale quotidiano delle persone. Il web è molto più pervasivo, più centrale nelle interazioni sociali e culturali di quanto non lo siano giornali e riviste, in questi anni. Ecco perché abbiamo sempre dato importanza e attenzione ai blog letterari, per esempio, e ai siti di settore, dotandoli di anteprime, inviando libri per recensioni, organizzando blog tour che creano un reale engagement attivo da parte dell’utenza, magari mediante un giveaway, che consolida ulteriormente il rapporto editore-lettore, visto che spesso la ricompensa consiste in copie autografate e con dedica, o disegni originali degli autori dei libri di cui si parla.
La posta in gioco è potenzialmente alta, perché se si parla regolarmente di fumetto diventa normale cercarne, fruirne, e man mano che l’utenza dei canali specializzati si amplia e gli scaffali delle librerie generaliste si popolano di sempre più titoli a fumetti, il mercato cresce, sì, ma in esso si affermano solo i prodotti più forti, più convincenti. La reputazione che le strategie mediatiche costruiscono viene messa alla prova dei fatti, perché la concorrenza è tanta, come è giusto che sia.
E allora come si fa a costruire qualità? Inutile dire c’è una componente ineffabile nel procedimento: se un libro meriti di essere pubblicato e, di conseguenza, letto, è qualcosa che si può intuire, ma non sapere per certo. Un editore nel quale convivano passione e competenza (in proporzioni variabili ma commensurabili) sa come scegliere i titoli da pubblicare, ma non è detto che sappia portarli al successo. Ogni passaggio dal progetto iniziale all’uscita di un libro è un segmento, che va da un punto di partenza a uno di arrivo: dall’intenzione di pubblicare all’offerta da fare all’autore; dal soggetto alle tavole finite; dal progetto grafico ai file da mandare in tipografia; dalla cartella stampa agli articoli/recensioni/passaggi televisivi; dall’uscita alle fiere/presentazioni/tour promozionali e via dicendo. Perché ciascun segmento sia efficace, oltre a dover essere seguito da persone competenti, è necessario che tutti i segmenti siano adiacenti e consecutivi, che portino, insomma, in una stessa direzione. Qui in BAO facciamo così: dal momento in cui firmiamo il contratto per un titolo coinvolgiamo nel progetto subito tutti: così i grafici possono farsi un’idea di cosa dovranno portare al tavolo per rendere unico quel libro, il responsabile commerciale si renderà conto delle somiglianze (spurie, ma utili per spiegarsi con la rete promozionale) tra quel libro e altri che sono stati promossi e venduti negli anni precedenti (i cosiddetti gemelli), l’ufficio stampa comincerà a capire come approcciare la comunicazione verso i media, dati l’autore, i temi, la tipologia del progetto. Insomma, quando quel libro sarà pronto ad andare in stampa, noi lo avremo già virtualmente venduto a moltissime persone, perché saremo stati noi a far sapere loro che quel libro esisterà, e a convincerli che lo desiderano.
Qualche paragrafo fa ho accennato al fatto che di tanto in tanto siamo piacevolmente sorpresi dalle buone vendite di libri che abbiamo pubblicato senza aspettarci nulla da loro se non il loro essere “molto da BAO”. Il motivo per cui quei libri vendono è soprattutto dovuto al fatto che ormai i lettori si fidano di noi. In seconda battuta, quando scoprono che il libro, per quanto strano e difficile da inquadrare in poche parole, è anche molto bello e ben realizzato, quella fiducia viene confermata e l’atto di fede di comprare un libro BAO pur non sapendone niente potrà prodursi nuovamente, in futuro. Questa è la cosa più magica che ci succeda, davvero, ed è dovuta al fatto che siamo riusciti a convincere moltissime persone a spendersi in prima persona per parlare di ciò che facciamo.
Quando dicevo che i blog letterari hanno, a un certo livello, più capacità di penetrazione nelle coscienze dei giornali, non era certo disistima per la carta stampata. Ma così come se un inviato di guerra vi racconta il conflitto tra i curdi e l’ISIS vi pare una cosa normale, mentre se ci va Zerocalcare diventa un evento eccezionale, i lettori sanno che i recensori fanno quello di mestiere: recensiscono. Mentre se una persona normale, la cui passione la spinge a scrivere di ciò che ama leggere, parla di un fumetto BAO, chi legge quell’endorsement ci fa caso, prende nota, probabilmente alla prossima visita in libreria ci cercherà tra gli scaffali.
Da chi si tagga sulle foto dei libri adagiati sul parquet del nostro ufficio per averne una copia in omaggio a chi posta la propria libreria su Instagram, fino a chi scrive lunghi articoli per dire quanto ha amato Il porto proibito, il coinvolgimento diretto delle persone è il motivo per cui i lettori si fidano di noi, per cui sempre più lettori si fidano di noi. Non era qualcosa che potevamo sapere per certo all’inizio, ma lo volevamo fortemente. Se c’è stata una strategia, è stata quella della coerenza. E ora la qualità parla per noi, e lo fanno anche i lettori, ed è bellissimo leggerli e ascoltarli, ve lo confesso.
La settimana prossima parliamo di calligrafia, ma non di lettering. 🙂
6 commenti su “Parlare chiaro per conquistare la fiducia dei lettori”
Confermo che noi lettori ci fidiamo ciecamente della Bao ❤
“Insomma, quando quel libro sarà pronto ad andare in stampa, noi lo avremo già virtualmente venduto a moltissime persone, perché saremo stati noi a far sapere loro che quel libro esisterà, e a convincerli che lo desiderano.” Questo passaggio mi ha riportato alla mente una scena cruciale di “Cuore sacro” di Ozpetek, in cui la protagonista ascolta da manager rampante parole molto simili, proprio mentre sta maturando un dissidio interiore. In quel contesto la valenza che si dava a quelle parole era dichiaratamente negativa. In senso neutro, sono l’assunto di ogni strategia di marketing: convincere che sia desiderabile o addirittura necessario un bene di cui prima non si conosceva nemmeno l’esistenza. A renderle buone o cattive, io credo, sta solo l’onestà e la coerenza del “venditore”. E, nel vostro caso particolare, forse, anche la “necessità” effettiva del bene.
Concordo sul fatto che uno dei vostri caratteri distintivi sia il lasciare spazio a titoli che sfuggono le definizioni di genere, e contemporaneamente definiscono il “genere Bao”: una delle cose più divertenti, per me, è andare sulla sezione shop del vostro sito e leggere la voce “genere” dei titoli che sono in procinto di acquistare. Ogni volta che sui blog di settore vengo a leggere di qualcosa che mi attira ma penso difficilmente potrebbe vedere la luce in italiano, o di qualcosa che vorrei vedere recuperato in una edizione che dia lustro al lavoro, mi viene ormai fatto di pensare a voi. E nove volte su dieci accade. E’ successo con “La lega degli straordinari gentlemen”, sta per succedere con “The Umbrella Academy” e “The Wicked + the Divine”. E poi ci sono le scommesse, i titoli che ho comprato principalmente perché, sì, erano titoli Bao. “Il porto proibito” e “Da quassù la Terra è bellissima” sono stati casi per me emblematici e dirompenti. C’era la qualità indiscutibile di un vostro prodotto, il vostro marchio di fabbrica,,, ma una qualità incredibile di storie alla base. Non a caso sono titoli che ho regalato più volte l’anno scorso, anche a persone che non si erano mai avvicinate al fumetto. Nel caso del Porto, un feedback che ho ricevuto da un “profano”mi ha confermato nell’impressione che avevo avuto pure io, che leggo fumetti da una vita: una veste editoriale pazzesca, ma soprattutto una storia incredibile, una cornucopia di meraviglie, per trama e disegni.
E qui torniamo al discorso di prima, all’effettiva “necessità” del bene che vendete. Poi è una necessità che io considero oggettiva, per tanti non lo è forse.
Abbiamo tutti bisogno di belle storie.
Sono cibo. Si inseriscono nella nostra vita quotidiana, rendono fissato nella memoria un giorno che altrimenti sarebbe stato qualunque. E le emozioni che quelle storie regalano sono cose a cui si può attingere, in altri giorni qualunque.
Abbiamo tutti bisogno di belle storie raccontate in bei libri.
E Bao non è mai venuto meno a questo patto.
Curiosità, ho un ricordo, di uno zoccolo con Cliff su sfondo Giallo…. Mi sbaglio?
Ora la domanda è quanti e quali volte lo zoccolo è stato fatto in modo non “ortodosso”
Diverse volte, perché quando il progetto grafico originale di un libro è così complesso da non permettere quella soluzione grafica, per rispetto nei confronti del design originale abbiamo rinunciato. Però è capitato davvero poche volte, su oltre seicento titoli pubblicati finora.
Grazie per questo post! Non è così scontato che un editore accompagni per mano il lettore nei più “intimi” meandri delle sue intenzioni…tutto quello scritto qui è sempre arrivato a noi lettori, ma approfondirlo così ci fa sentire ancora più vicini!
E a questo punto, parlando da vostra lettrice…”oserei” chiedervi una cortesia! Migliorerei un po’ l’acquisto diretto dal vostro sito…ero super felice di usare una vostra gift card, ma è stata una piccola impresa…le ricerche multiple, sul vostro sito, sono un pochino difficoltose.
E se parlo di ricerche multiple, è segno che non si tratta più solo di affezione nei confronti dei vostri titoli…è ormai dipendenza!
Grazie,
Paola
Grazie per i suggerimenti, Paola. Ne faremo tesoro!